Sottili pandemoni: medicina e biopolitica.

Che la medicina sia strettamente connessa alla biopolitica è cosa nota: basti pensare alla parabola del nazismo e a come la biopolitica hitleriana trovi proprio nella medicina del tempo la sua peculiare ragion d’essere, nonché il suo principale orizzonte di riferimento e di applicazione. Il progetto nazionalsocialista non era altro, in fondo, che il tentativo di fondare una medicina di Stato, e la presenza massiccia dei medici agli alti vertici del Terzo Reich è la cifra di un disegno igienistico ispirato direttamente all’immunologia di matrice medica.Quello che è meno noto, o meglio ciò su cui poco si riflette, è che la biopolitica di stampo immunologico, la biopolitica razzista insomma, non ha un orizzonte esclusivamente tedesco e nazista: non nasce in Germania e non si chiude con l’esperienza hitleriana. Piuttosto ha le sue origini nel mondo anglosassone, nell’antropologia di Lombroso, nel darwinismo sociale, nella genetica razzista che ebbe larga diffusione anzitutto negli Stati Uniti. E soprattutto ha continuato a svolgere il suo corso durante, dopo e nonostante il nazismo, il quale semmai ha avuto la coerenza, ovvero la pretesa, di tradurre questo impianto teorico in un’azione politica precisa, per quanto folle possa essere un simile progetto.

Ciò che più conta, però, è che oggi si ritiene assolutamente pacifico il fatto che l’esperienza biopolitica sia stata accantonata: archiviata definitivamente tra le tante mostruosità della storia, superata dal progresso dei diritti umani e civili, dal progresso della Ragione che ha illuminato questo residuo di preistoria e dal progresso della Scienza che ha superato la conoscenza limitata del secolo scorso. In un simile contesto diventa difficile osservare criticamente alcuni fenomeni dell’attualità e di leggerli nella giusta luce, anzi spesso si ha la sensazione di non avere a disposizione alcun elemento per decifrarli. E così spesso passano inosservati alcuni degli aspetti più oscuri del nostro tempo e della nostra società. Una società che, silenziosamente, si è nel frattempo fatta sempre più totalitaria e coercitiva, per quanto abbia ammorbidito l’impatto e raffinato i metodi dell’applicazione del suo potere.

Un buon banco di prova per riflettere su tali metodi e sui legami tra biopolitica e medicina è costituito dalla “pandemia” attualmente in corso e di cui si sente parlare quotidianamente. Beninteso, non si può pretendere di giungere ad una qualche verità in proposito: non è solo che «Dio è morto» ma sempre più siamo obbligati a riconoscere il fatto che nella fitta trama dell’informazione massmediatica non c’è semplicemente più alcuna verità da cercare, essendo il mondo ridotto ad una sorta di enorme sitcom tragicomica. Preso congedo dalla verità, allora, rimane però da mettere in pratica quella che Vattimo, nel suo ultimo libro, definisce «ontologia dell’attualità»: una vigilanza perpetua che smascheri ovunque l’ideologia e le false verità in nome di una costruzione del reale effettivamente condivisa e non supinamente accettata. Questa analisi può essere letta anche come un tentativo, in tal senso, di tradurre in pratica una tale ontologia dell’attuale.

In primo luogo, le parole non sono mai innocue: “pandemia” è un termine divenuto molto di moda, anche se fino a qualche anno fa non lo si era mai sentito, almeno in televisione. Il suo utilizzo non è così innocente come sembra: il ricorso alla terminologia tecnica ha una forte componente di legittimazione ed è in grado di disorientare, alla maniera del latino usato dal buon Don Abbondio. Sicché si ripete a iosa un termine il cui vero significato sfugge. Nella fattispecie, si tende ad immaginare la pandemia come lo scalino successivo, l’allargamento, o anche la globalizzazione, di un’epidemia, con il conseguente assioma che se la peste o il colera sono state delle epidemie, la pandemia è qualcosa di molto più pericoloso. Tuttavia la differenza tra le due non è così consequenziale: piuttosto l’epidemia è una malattia contagiosa che si diffonde molto rapidamente in un territorio ben circoscritto; la pandemia invece si riferisce a malattie contagiose che interessano diverse aree geografiche. Questo vuol dire che un’epidemia può anche causare molte più morti di una pandemia. Del resto peste, colera, tifo, tubercolosi, sono tutti esempi di pandemia, che di solito si studiano sui libri di storia come epidemie solo per imprecisione. Allo stesso modo, però, se si guarda bene, ogni influenza è di fatto una pandemia.

In secondo luogo, non si riesce a capire quale sia effettivamente la differenza tra l’influenza “normale” e l’influenza “suina”, se non nella provenienza di quest’ultima dai porci. Anche nel ricorso così insistente all’origine animalesca del morbo si può constatare una certa cattiva coscienza, o quanto meno si può vedere in azione l’impianto dell’ideologia: come è possibile riscontrare nel mondo della pubblicità, il ricorso all’elemento teriomorfo, zoologico o più in generale naturale, si connota sempre di una valenza archetipica, in grado di toccare subdolamente alcune specifiche corde dell’inconscio. Non diversamente dai bestiari medievali o dalle favole del ‘700, i mass-media ricorrono spesso al linguaggio simbolico dell’immaginario comune che carica gli elementi della natura di un significato allegorico, spesso inavvertito ma non per questo meno efficace. Così l’influenza “suina” o l’influenza “aviaria” rimandano ad un contesto quasi mitologico, sublime, di una natura rivoltata, sfuggita al controllo umano. Anche l’ambiguità dell’aggettivo è funzionale: l’influenza è suina per l’origine, indubbiamente, ma, come un cavallo di troia, sotto questo significato passa anche il senso di un’influenza teriomorfa, che assume quasi lo statuto di un’entità nuova, mutante, dotata di una propria finalità o pulsione, un ibrido a metà tra il virus e il maiale, connesso implicitamente allo scenario apocalittico – tipico dell’immaginario comune delle nostre società – dell’Alba dei morti viventi o di Planet Terror. Non si riesce a cogliere questo aspetto del messaggio subliminale se non si tiene conto del fatto che la maggior parte delle influenze viene trasmessa all’uomo da qualche animale – in linguaggio tecnico si dice che sono zoonosi. Così come tante altre “influenze suine” hanno preceduto quest’ultima pandemia, senza che siano mai state chiamate così.

Va bene, si potrebbe obiettare che queste considerazioni non tolgono nulla alla gravità della situazione, e che quanto meno i giornalisti fanno bene a seguire le vicende di un’influenza che rischia di diventare pericolosa. È vero che i giornalisti fanno bene a cercare di seguire tutte le vicende che possano avere un interesse pubblico; ma la sensazione che si ha è che la vera pandemia sia costituita dal pandemonio scatenato dai mass-media e dal tentativo di diffondere il panico nella popolazione. E questa sensazione non è avvalorata solo dalle considerazioni fatte fin qui. Né è solo una sensazione.

Il fatto è che, nell’impossibilità di seguire tutto ciò che accade, la scelta su dove puntare i riflettori o è casuale, o è pilotata in base a precise scelte politiche. Innanzitutto, i telegiornali aggiornano quotidianamente il bollettino delle vittime dell’influenza suina (che è influenza A – H1N1), dimenticando d’un tratto le morti sul lavoro, dimenticando le vittime di violenze sessuali o gli incidenti stradali. Dobbiamo pensare che non avvengano più morti sul lavoro, né violenze sessuali né incidenti stradali? Oppure è semplicemente cambiata la moda? Ma la moda cambia come cambia il tempo atmosferico, oppure cambia perché qualcuno la pilota? E chi ha questo potere? Nel caso dei vestiti, si sa, la moda viene stabilita dagli stilisti che, attraverso essa, veicolano gli orientamenti dei consumatori e quindi gli acquisti. Nel caso delle mode giornalistiche?

Intanto è un fatto che la malaria, ad esempio, miete due milioni di vittime all’anno, in tutto il mondo (ma non è una pandemia?); è un fatto che per diarrea, ogni anno, ne muoiono altrettante; l’influenza normale, ogni anno, causa circa mezzo milione di morti. E la tanto temuta aviaria del 2003, la prima grande pandemia della storia (della televisione), ne ha causate 250, finora, con una mortalità del 7%! Sicché viene da domandarsi: perché mai i telegiornali contano giorno per giorno le vittime dell’influenza suina e non contano quelle della normale influenza? E la normale influenza, quest’anno, c’è o non c’è? Oppure la normale influenza, quest’anno, è la suina? E ancora, a fronte di queste cifre, non dovremmo tirare tutti un sospiro di sollievo? In fondo, l’influenza suina, come l’aviaria, è una delle malattie meno temibili che ci sono in circolazione, con poche centinaia di morti contro le centinaia di migliaia di ogni influenza annuale …

Ovviamente, tutto questo è l’effetto del latino di Don Abbondio: si tratta di gettare nella confusione l’umile Renzo, ignorante e ingenuo, a causa delle pressioni dei bravi di Don Rodrigo. Mutatis mutandis, il sistema massmediatico (Don Abbondio) getta nel panico e disorienta il pubblico (il povero Renzo) per venire incontro alle sollecitazioni dei bravi potenti di turno (Don Rodrigo). Più o meno annualmente si rinnova la psicosi collettiva introducendo sul mercato delle informazioni qualche nuova terribile malattia e tacendo contemporaneamente delle malattie che non conviene curare (come la malaria) per il semplice fatto che sono malattie che colpiscono popolazioni indigenti che non sono in grado di acquistare massicce dosi di farmaci o vaccini. Viceversa una malattia sostanzialmente innocua come la H1N1 viene evocata quasi fosse una nuova piaga d’Egitto nelle società ricche occidentali, sì da spingere gli Stati ad acquistare, magari preventivamente, quante più dosi è possibile di vaccino e Tamiflu. Sennonché, a pagare queste dosi è, ovviamente, Renzo: cioè siamo tutti noi che, volenti o nolenti, malati o meno, paghiamo fior di milioni alla Roche per un prodotto per molti versi più pericolo della malattia che pretende di curare e per un vaccino rilasciato prematuramente (tant’è che si deve firmare il consenso informato per vaccinarsi) che probabilmente avrà come effetto principale la diffusione del morbo. Come avvenne per l’influenza spagnola del 1918, quando «la malattia colpiva sette volte di più i soldati vaccinati che i civili non vaccinati, e le malattie delle quali morivano erano quelle per le quali erano stati vaccinati», secondo una testimonianza raccolta da McBean in Vaccination Condemned. Mentre i medici che non facevano ricorso alle vaccinazioni riuscivano ad ottenere il 100% delle guarigioni!

Comincia allora ad apparire più chiara, se non la verità che si cela dietro questo pandemonio mediatico, quanto meno la falsità di un impianto ideologico truffaldino: politica e multinazionali fanno corpo unico per sollecitare i mass-media a generare panico, onde legittimare, per ragioni di “sicurezza”, l’indebitamento pubblico a favore delle case farmaceutiche, disinteressandosi peraltro degli effettivi rischi di una vaccinazione di massa.

La biopolitica qui utilizza la stessa impalcatura immunologica del secolo scorso, ma ha cambiato il proprio campo di applicazione: anziché una razza superiore che vuole epurare il proprio organismo sociale dei corpi estranei, abbiamo qui una classe superiore che ha bisogno di una massa di consumatori per riprodurre la propria ricchezza. Lì agiva nei termini di una politica nazionalistica e razzista, qui nei termini di una politica consumistica e liberalista. Ma in entrambi i casi possiamo osservare gli effetti di un potere sulla vita attraverso il ricorso ad un’ideologia di stampo medico fortemente immunologica e meccanicista – sotto questo aspetto spaventosamente in ritardo sui tempi, tanto quanto l’industria del petrolio. Fermo restando che, qualora eventualmente il vaccino riuscisse effettivamente a diffondere il morbo e a generare una pandemia di dimensioni bibliche, si potrebbe sempre far rientrare il tutto in un semplice calcolo maltusiano di economia politica, laddove la crisi in corso potrebbe rendere ostica la soluzione al problema di una disoccupazione incalzante causata da una pressione demografica estenuante. In questa luce, davvero questa pandemia assume le tonalità apocalittiche di una tanatopolitica virulenta e recrudescente, una sorta di esperimento biosociale che potrebbe sfuggire di mano in ogni momento e che forse qualcuno spera che sfugga di mano.

Ma questa, in fondo, è solo fantapolitica …

Diego Rossi



One Comment

  1. laura wrote:

    Bell’articolo, complimenti! condivido le tue riflessioni e aggiungo: in una epoca nella quale il bene più prezioso sembra essere la capacità del singolo di essere sempre un miglior “consumatore” , indipendentemente dalla razza, livello sociale, posizione geografica e, ahimè!, indipendentemente dal possesso dell’oggetto in se, perchè il “produttore” dovrebbe sottrarsi a tale ghiotta opportunità di diffondere-è proprio il caso di dirlo- il suo prodotto di maggior effetto? perchè il “produttore” dovrebbe valutare le conseguenze a lungo termine quando i benefici a breve termine sono senza dubbio di enorme vantaggio? o, meglio, in una società in cui si è poco certi dell’oggi e certamente incerti sul domani, che senso avrebbe pensare alle conseguenze dell’immissione sul mercato -mediatico- di informazioni di sicuro “effetto”? il “consumatore” intanto è già ben addestrato-ormai da generazioni-a masticare massificazioni delle informazioni e più queste sono cruente ed esprimono la perversione cui un umano può giungere più resta affascinato e coinvolto e, ai limiti estremi, si identifica! (in questo la politica hitleriana docet)
    chi è il produttore? ha così poca importanza!!!!ciò perchè il produttore è scelto direttamente da consumatore/vittima…una sorta di autoperversione!!!
    Ma d’altra parte Darwin ha sempre sostenuto che sopravvive chi ha i mezzi per farlo e non necessariamente il più intelligente…e il cerchio quadra!

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