I tre livelli dell’Aikido

L’AIKIDO, quale forma di Budo, è la derivazione delle antiche arti marziali giapponesi. Frutto dell’illuminazione di Morihei Ueshiba, può essere considerato una forma di meditazione dinamica. Il suo fine ultimo è l’Illuminazione, nel senso buddista del termine, ed il suo cammino passa attraverso un’educazione alle relazioni con gli altri. Tecnicamente può essere distinta dalle altre arti marziali per i suoi movimenti essenzialmente rotondi, per il suo studio approfondito dell’energia interna e per la mancanza assoluta di competizioni. Per volontà esplicita del suo fondatore, l’Aikido non doveva essere ritualizzato in sterili forme, ma avrebbe dovuto vivere  al passo coi tempi, adattandosi di volta in volta alla varietà delle situazioni, esprimendo in ogni caso i suoi principi ma modellandosi contingentemente come “l’acqua al suo contenitore”. Buona idea, ma ora il problema era insegnarlo! Insegnarlo, cioè, ad un popolo come il giapponese, in cui la ritualizzazione e la copia fedele sono le basi dell’ apprendimento. Allora il gran maestro, O Sensei, provò un metodo del tutto nuovo, rivoluzionario, potremmo dire. Egli non avrebbe insegnato alcuna tecnica precisa, nessun kata statico, ma, semplicemente, avrebbe insegnato solo i principi, lasciando un’immensa libertà alle forme. Tutto ciò che i suoi allievi avrebbero imparato il giorno prima, non sarebbe stato più valido quello dopo, e così via, finché una sola cosa sarebbe rimasta: il principio comune a tutte le tecniche, lo Spirito dell’Aiki, Aiki O Kami.
 
L’Aikido si divide
In questo modo,  Morihei Ueshiba, riuscì a fare dell’Aikido un’arte, in cui ogni praticante si sarebbe modellato attraverso i principi ed espresso attraverso le forme. Sembrava un’idea grandiosa, ma i problemi sorsero al momento della sua morte. Ogni suo allievo possedeva un Aikido differente, e, sebbene la cultura giapponese preveda in merito un unico successore, generalmente un discendente del fondatore, Kisshomaru Ueshiba, suo figlio, non fu accolto all’unanimità quale guida tecnica e spirituale dell’ Aikido mondiale. Ogni maestro aveva dato maggiore rilevanza agli aspetti dell’insegnamento di O Sensei che più lo avevano colpito, e, pur avendo avuto lo stesso maestro, i loro metodi erano talvolta in antitesi. Ognuno di loro, aveva cercato un metodo didattico più immediato e sistematico, congeniale, forse, al loro modo di essere, in modo da ridurre i tempi di apprendimento e semplificare la vita a loro stessi ed ai loro allievi. Si arrivò dunque all’immancabile scissione da cui derivarono le diverse scuole di Aikido che oggi si fanno battaglia, accusandosi l’un l’altra di aver tradito gli insegnamenti del fondatore e di professare, così, un Aikido “eretico”. In realtà un Aikido “vero” non esiste. Ogni uchideshi (allievo interno al dojo) di Morihei ha ragione a rivendicare la veridicità delle sue parole, perché le ha EFFETTIVAMENTE sentite da Lui; il problema è che non diceva solo quelle. Bisognerebbe mettere insieme gli insegnamenti di ognuno di loro per farci una vaga idea dell’Aikido del Fondatore, e comunque non riusciremmo a comprenderlo perfettamente poiché per SUA volontà l’ Aikido muta col passare del tempo, adattandosi all’ esperienza del singolo ed alle necessità della comunità.
 
Il maestro “Bocca della Montagna”
Seigo Yamaguchi (in giapponese “bocca della montagna”) combatté nella Seconda Guerra Mondiale che era solo un ragazzo. Insieme ad altri come lui, la sua missione era quella di pilotare alcuni piccoli sottomarini per utilizzarli come siluri, era cioè un Kamikaze della marina giapponese. Morire per la propria patria è, nella cultura nipponica, un gesto da eroi, che consacra il tuo nome nella Storia della Nazione. Anche se hai poco più di 20 anni. Anche se nei tuoi sogni c’è una vita felice con la tua donna e con tuo figlio sulle gambe che gioca con la tua barba. No. Non ti è più concesso sognare. Quando sei un “Vento Divino” non sei più un essere umano. Sei un’arma. Sei proprietà dell’ esercito e dalla vita puoi aspettarti solo l’ultima chiamata, quella che farà di te un “Eroe”. Ma, scherzo del destino, quella chiamata per Seigo non arrivò mai. Poco prima che arrivasse il suo turno, il Giappone firmò il trattato e si arrese. Ormai rassegnato alla propria morte, però, Seigo aveva perso la capacità di sperare e non riusciva più a sognare guardando quella Nazione a cui, in cuor suo, aveva già regalato la propria vita. Decise dunque di partire, per imparare, di nuovo, ad aver fiducia nel futuro. Divenne funzionario del governo e la sua destinazione fu l’Europa. Poco prima di partire, un suo carissimo amico, futuro fondatore della macrobiotica, gli consigliò di imparare un’ arte tradizionale giapponese da portare sempre con sé, come una parte del proprio popolo. Fu così che Seigo Yamaguchi, come da prassi, si procurò due lettere di raccomandazione e si fece presentare a Morihei Ueshiba, fondatore dell’ Aikido. Fu il Destino a decidere quell’incontro. Seigo, affascinato da quella persona così particolare, rinunciò all’impiego governativo e, quindi alla partenza, e divenne uchideshi di O Sensei. Egli sarebbe ben presto diventato la punta di diamante dell’ Hombu Dojo ( palestra centrale), ricevendo così l’ appellativo di “Genio dell’ Aikido”. La sua immensa cultura ed il suo personalissimo stile, basato sulla ricerca della perfezione dell’ essere, hanno influenzato parecchi degli attuali Shihan, ed i suoi insegnamenti si perpetuano attraverso Maestri del calibro di Christian Tissier e Philippe Gouttard, che, da anni, diffondono la sua scuola in tutta Europa. 

La scuola del “Genio”
Il nostro Aikido è diviso per livelli. Se ne possono contare tre, per l’esattezza. Essi si succedono per difficoltà crescente, ma sono ugualmente importanti. Ciò significa che bisogna padroneggiare il precedente per studiare il successivo, ma perché un allenamento sia completo è necessario praticare tutti i livelli raggiunti. Ad un’analisi poco approfondita, i tre livelli si distinguono per proporzione di movimento tra Tori ed Uke durante una tecnica e, più precisamente, potremmo affermare che al primo livello, il più basso, tori esegue la totalità del movimento, mentre uke è praticamente fermo; al secondo, la quantità di movimento è ripartita in maniera equivalente, in modo che tori ed uke si muovano insieme, eseguendo il 50% dell’azione per uno; il terzo livello è molto difficile da raggiungere, ed una vita non è abbastanza per studiarlo del tutto, qui tori non si muove quasi, riuscendo, con piccoli spostamenti del corpo, a controllare uke, che invece esegue la quasi totalità del movimento durante una tecnica. Ma osservandoli più specificamente, ci rendiamo conto che i tre livelli hanno in effetti scopi differenti, e sono nell’ insieme indispensabili  alla formazione di un completo Aikidoka 

Il primo livello: sentire il corpo
Come precedentemente affermato, il primo livello si caratterizza immediatamente per una mancanza pressoché totale di movimento da parte di uke, colui che riceve la tecnica. Esso rappresenta lo studio della base. Qui il nostro avversario è il nostro stesso corpo che, attraversando questo stadio della pratica, sarà forgiato ai movimenti dell’Aikido. Il nostro compagno eviterà di metterci in difficoltà, consentendoci, così, di studiare il movimento di base più corretto ed adatto alla situazione proposta. Le tecniche vengono studiate con estremo rigore e particolare enfasi viene posta sul principio degli ALLINEAMENTI. Esso riguarda essenzialmente la corretta postura, con il busto e la testa allineati sulla spina dorsale e le braccia e le gambe mosse in maniera coordinata, in modo che le mani, i gomiti e le spalle, si trovino posizionati in proiezione ortogonale rispettivamente sui piedi, sulle ginocchia e sulle anche. La posizione, inoltre deve conferire al corpo un’attitudine aperta e distesa intorno ad un centro immaginario posizionato tra i fianchi (TANDEN). Esso corrisponde, praticamente, al nostro centro di gravità fisico e controllarlo equivale a controllare l’intero sistema d’equilibrio del nostro corpo.Se pensiamo che nelle arti marziali tutto, dal pugno alle tecniche più complesse, è basato su sottili giochi di equilibrio, possiamo renderci conto del vantaggio che può costituire il controllo dei TANDEN. Perché l’assetto sia corretto e perché sia possibile sfruttare il 100% della nostra forza, è indispensabile che durante la pratica il nostro corpo resti eretto ed allineato. Ciò è reso possibile da potenti movimenti di anche, supportate da ginocchia molto flessibili, che andranno ad ammortizzare i continui affondi e rotazioni Siccome l’Aikido prevede attacchi da più direzioni e senza limitazioni di bersagli, non viene utilizzata una guardia specifica come nel pugilato o nel karate, ma una posizione aperta che ci consenta di visualizzare chiaramente ed accettare piuttosto che rifiutare gli attacchi dei nostri uke. Uno sguardo profondo, attento ai movimenti del nostro compagno, sebbene non rapito da essi, sarà la nostra sola guardia, ed un’attenzione continua ci proteggerà su ogni lato.
 
Il secondo livello: aprire la mente
Il primo livello è specificatamente riservato all’ apprendimento dei movimenti e delle posizioni di base. Ma per evitare di trasformare l’Aikido in una ginnastica è necessario non perdere il contatto con la realtà. E nella realtà il nostro avversario si muove. Così la caratteristica del secondo livello è che il nostro uke ci attacca in movimento durante tutta la tecnica, senza mai rassegnarsi alla sconfitta ma, al contrario, provando in ogni istante a ribaltare la situazione. Due principi regolano le relazioni fra i praticanti, il primo, YOKU SOKU KEIKO, allenarsi con una promessa, ci obbliga alla scelta di un tema di allenamento in cui muoverci. SHOMENUCHI, per esempio, è la promessa del nostro uke, IKKYO è la nostra promessa verso di lui. Ciò ci impedirà, nel ruolo di uke, di fintare uno shomen e poi attaccare con un calcio, per esempio, e, nel ruolo di tori, di nascondere i nostri errori dietro più o meno improvvisate “variazioni”. Il secondo principio  è quello di INTEGRITA’. Esso ha diversi risvolti nella pratica quotidiana. Per integrità, innanzitutto, s’intende integrità fisica di ogni praticante, sia nel ruolo di tori che di uke. Ogni insegnante dovrebbe mostrare delle tecniche che preservino l’integrità fisica di tori anche a lunga scadenza, ed ogni tori dovrebbe garantire l’integrità costante del proprio uke. Torsioni agli arti e sforzi con le vertebre non piacciono molto al nostro fisico e gli piaceranno ancora meno in età avanzata. In seconda battuta, quando parliamo di Integrità, ci riferiamo anche all’ integrità morale dei nostri compagni, specialmente i meno graduati, che molto spesso avrebbero bisogno di meno botte e più spiegazioni. Il nostro uke non c’entra affatto coi nostri problemi. Non dobbiamo batterci con lui, ma col suo aiuto dobbiamo affrontare noi stessi. In questo stadio dell’ apprendimento, il secondo livello, importanza fondamentale la rivestono tutte le relazioni possibili che intercorrono tra noi ed il nostro compagno. Il continuo adattarsi alle posizioni dell’altro, relativamente alla distanza ed alla scelta di tempo ci riportano alla mente le parole del Fondatore:” La difficoltà dell’ Aikido sta nello studio delle leggi dell’ Universo”. Ed il nostro Universo si fonda sulle relazioni in base allo Spazio, la distanza mutevole tre tori ed uke, e Tempo, il timing delle tecniche. Ecco che entra in gioco l’armonia, AI, intesa come adattabilità alle varie situazioni di attacco e di difesa che di volta in volta si  presentano, ma anche alle svariate situazioni ambientali. Spazio e Tempo, infatti, hanno significato non solo sul piano relazionale tra le persone, ma anche nelle relazioni con l’ambiente circostante. La gestione dello spazio intorno a noi, in modo da riuscire a completare una tecnica sia in un tatami semivuoto che al centro di una calca durante uno stage, è un altro esempio di adattabilità. Spesso i grandi maestri consigliano di non limitare la pratica solo al dojo, ma di allenarsi all’aperto, dove il terreno non è uniforme e lo spazio non è regolare, in modo da affinare la nostra percezione dell’ambiente circostante. Riuscire a praticare seriamente anche quando dentro di noi non è il momento adatto, significa adattarsi al nostro tempo interno. Nella nostra scuola si insegna a non retrocedere mai. Questo significa che ad ogni azione del nostro partner ne consegue un nostro adattamento o, non potendo tornare indietro, la nostra resa. Un colpo solo, come falchi al catturare di una preda. Dovendo fare una similitudine, sceglierei senz’altro l’acqua piuttosto che la roccia, per descrivere il concetto di forza in Aikido. Dal punto di vista tecnico, il secondo livello è caratterizzato da un costante apertura fisica, simbolo di una ben più difficile apertura mentale verso il nostro compagno. Lo studio parte innanzitutto dal TAI ATARI, l’incontro dei corpi. Perché una tecnica di Aikido possa nascere è indispensabile entrare nella sfera di azione del nostro uke per prenderne il centro. Più ci avviciniamo alla sfera di intimità del nostro compagno, più aumentano le resistenze da abbattere. Le braccia, specialmente, spesso rigidamente distese, rappresentano una molteplice barriera fra noi e l’altro, poiché, quasi a respingerlo, non ci consentono la chiusura della distanza. Dobbiamo, quindi, progressivamente vincere la resistenza del polso (KOTE GAESHI), poi quella del gomito (SHIHONAGE), e infine quella delle spalle (IRIMINAGE) per ottenere il  TAI ATARI completo. Una volta raggiunta la posizione più vantaggiosa durante una tecnica, è necessario creare un asse di rotazione, o comunque di movimento, che faccia da perno alla nostra azione di squilibrio, che , in questo modo, verrà a trovarsi quanto più possibile su una linea verticale piuttosto che orizzontale. La tecnica che ne deriva, è diretta secondo le linee dell’ attrazione gravitazionale e, cioè, perpendicolarmente al suolo. Questo ci permetterà di conservare un assetto stabile, come studiato al primo livello, restando allineati all’interno della nostra base d’appoggio. È necessario, d’altra parte, che ogni tecnica di Aikido venga eseguita nel massimo rilassamento, pur mantenendo le sue caratteristiche di efficacia. Questo sarà possibile servendosi dello squilibrio causato al nostro uke dal nostro lavoro di disallineamento all’interno della sua postura. DOVE ci troviamo è importante al pari di COSA facciamo. L’adattamento agli altri al fine di creare una relazione è certamente l’insegnamento più profondo del secondo livello.
 

Il terzo livello: liberare lo spirito
In  Oriente, quando si inizia l’apprendimento della via del te, per i primi 10 anni almeno si è ancora principianti: la Vera Abilità, in cinese Kung Fu, è ancora lontana. 10 anni dopo, l’apprendista ha incamerato tutte le nozioni tecniche relative alla sua via, ora conosce tutti i segreti perché il suo te sia gustoso e raffinato, caldo al punto giusto, preparato nella maniera corretta, con una perfetta etichetta. Eppure manca ancora qualcosa, la Vera Abilità non si è ancora mostrata. Devono passare molti anni perché l’aroma del suo te sia del tutto personale, con un gusto unico, che ha il sapore di colui che l’ha preparato. A questo punto, un vero intenditore può riconoscere la mano del SADO, soltanto assaggiando un sorso di te, ma non solo, il suo retrogusto rivela finanche i pensieri e gli stati d’animo del praticante: ora la tecnica è stata superata ed i suoi gesti non sono più il risultato di un’educazione e di un addestramento rigorosi, ma espressioni inevitabili dell’intima essenza del SADO. Ora si può scorgere la Vera Abilità, ora c’è KUNG FU. Questo discorso è tranquillamente applicabile ad ogni forma d’arte, orientale o occidentale che sia, e descrive chiaramente le tappe obbligate del percorso dell’artista. Imparare le basi, esercitarsi sulle tecniche, esprimersi attraverso le forme, è un assioma valido per la pittura, come per lo SHIATSU, per la poesia come per gli origami e così anche nelle arti marziali. E quindi nell’ Aikido. Questo è il terzo livello, il superamento della tecnica stessa. I movimenti che prima erano minuziosamente curati in ogni dettaglio, fino a rendere la tecnica lunga e faticosa, ora si ripuliscono, lasciando spazio alla creatività del maestro. Si dice che lo scultore non crei le sue opere, ma semplicemente le aiuti a venire fuori dalla pietra ripulendole dal materiale soverchio. Ciò è valido anche nelle arti marziali. Il vero Budo è in realtà una spoliazione e non un arricchimento. Così come è necessario spogliare la tecnica di tutti i movimenti superflui perché possa essere perfetta nella sua semplicità, allo stesso modo bisogna spogliare l’essere dall’EGO, maschera di preconcetti che lo avviluppa, per poterci aprire totalmente alla realtà, vivendo sinceramente ciò che siamo ed abbracciando in ogni attimo il nostro destino d’ impermanenza. Tecnicamente, il praticante che ha raggiunto il terzo livello, ormai Maestro, possiede un Aikido molto personale. Ogni movimento, generalmente molto breve e naturale, sebbene oltremodo efficace, rappresenta chiaramente il suo modo di essere, fino a diventare un linguaggio del corpo, attraverso il quale l’anima stessa trova la sua espressione. Nella nostra scuola, al terzo livello corrisponde una sintesi perfetta del lavoro a mani nude con quello con le armi. Le tecniche di base di spada e di bastone, fanno riferimento alla scuola di kenjutsu di KASHIMA SHINTO, le cui posizioni ed i cui movimenti circolari appaiono particolarmente affini a quelli dell’ Aikido. I TE SABAKI, movimenti delle braccia, sono per lo più verticali, e si accomunano in ogni posizione ad un taglio col Ken. SHOMENUCHI, colpo diretto al centro della fronte, e KESA GIRI, taglio diagonale da una spalla al fianco opposto, sono i colpi di riferimento di base da ricercare in ogni immobilizzazione e in ogni proiezione, replicando, nel taijutsu, la stessa attitudine dell’addestramento alle armi. Il continuo alternarsi di aperture e chiusure di anca, trovano forza nello SHIN KOKKYU, respirazione dell’ anima, di cui ricalcano fedelmente i movimenti. Ogni tecnica viene eseguita in un’unica espirazione, conferendo così, scioltezza e continuità al movimento. Un KOHAN dello ZEN dice “ Quando incontri il tuo Buddha, uccidilo!”. In sintesi credo che risolvere questo “enigma dello spirito” in Aikido voglia dire aver raggiunto il Terzo Livello. 

Il lavoro di uke
Al tempo di O Sensei, quando si entrava all’Hombu Dojo, per un periodo di alcuni mesi non era consentito provare le tecniche. Subirle era il solo allenamento. Nonostante ciò, però, le cadute non venivano insegnate, sicchè ognuno sviluppava un modo più o meno corretto, di ricevere le proiezioni e rialzarsi grossomodo indenne. Non esisteva dunque uno studio sistematico del lavoro di uke, ma veniva lasciato all’improvvisazione dei praticanti sulla base delle loro esperienze e dei loro errori. Sono fermamente convinto che le tecniche di Aikido siano tecniche mortali. Portata con la massima energia, anche una sola tecnica può bastare per uccidere un uomo. È uno dei motivi che rendono impossibile la pratica di gare e combattimenti. Come fare, dunque, per praticare sinceramente e con la massima efficacia, salvaguardando allo stesso tempo, l’integrità dei nostri compagni? UKE è colui che riceve una tecnica. Il suo costante allenamento lo mette in condizione di cadere e rialzarsi indenne anche dopo aver subito delle tecniche piuttosto energiche e più la sua preparazione sarà profonda, maggiori sarà l’efficacia delle nostre tecniche.

Se uke è colui che riceve, nell’ istante in cui il mio compagno mi attacca è lui ad eseguire il movimento, mentre sono io a riceverlo, sono io uke. Ma per definizione, il terzo livello si ottiene quando il movimento di chi si difende tende ad annullarsi, sfruttando al cento per cento l’energia dell’attacco, assorbendola e dirigendola a nostro vantaggio. In una simile condizione, in cui di fronte ad un’aggressione non eseguo nessun movimento in maniera attiva, limitandomi solo a ricevere in maniera intelligente, io resto nella condizione di UKE. Al massimo livello,dunque tori ed uke si confondono, compenetrandosi vicendevolmente, in un’alternanza di ruoli non bene identificabili ; è questa la vera importanza di uke: imparare a ricevere attivamente!

Fabio Branno
Pubblicato da ARTI d’ ORIENTE settembre 2000



One Comment

  1. Pino wrote:

    Articolo stupendo, Fabio

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