Bluetooth e…aikido
“Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini.” “Ha cultura chi ha coscienza di sè e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri (..) Cosicchè essere colto, essere filosofo lo può chiunque voglia”
A.Gramsci
Lavoro in una grande azienda di telecomunicazioni…in un edificio freddo moderno ed informale che, per quanti sforzi abbia fatto il costruttore, non riesce ad essere anonimo solo perchè… “stupidamente” grande.
Non molto tempo fa durante la pausa pranzo, in una giornata grigia… umida e piovigginosa mi recavo, con andatura lenta ed assorto nei miei pensieri (cose che si sposano mal volentieri nella mia città pena il divorzio dal portafogli), a fare colazione in un ristorantino non molto lontano dall’ufficio.
Un signore di mezza età… (forse tre quarti) vestito elegantemente: abito grigio, camicia azzurra, borsa in pelle, mi tagliò la strada e il mio chiacchierio mentale fu interrotto bruscamente nel notare uno strano gonfiore sul suo orecchio destro.
Feci fatica a capire e a riconoscere che quel gonfiore era causato da un oggetto un… bluetooth, uno degli ultimi ritrovati della telefonia che si calzano all’orecchio e sono sintonizzati sul proprio cellulare, smarthfone o palmare…
Geniale nella sua idea questo apparecchietto, per ora costoso, tra non molto sarà utilizzato da tutti… Utile ed alquanto scomodo, credo che sarà talmente diffuso ed indossato da essere “inglobato” dal nostro padiglione auricolare… Anzi credo che tra un certo numero di generazioni nasceranno bambini con un bluetooth al posto dell’orecchio destro…
E’ tanta la voglia e la necessità di comunicare che paradossalmente saremmo disposti a “modificarci geneticamente” pur di soddisfare questa esigenza…
Comunicare è diventata una necessità impellente ed è una cosa che caratterizza profondamente i nostri tempi… comunicare non solo le nostre esigenze ma anche le nostre idee, il nostro modo di essere, la nostra visione della realtà utilizzando il corpo, il linguaggio, il vestire, lo scrivere.
Spesso limitati dallo “strumento” che adoperiamo ci rivolgiamo ad altre forme di comunicazione per esprimere sentimenti e sensazioni, stati d’animo e impulsi… Musica, pittura, scultura, fotografia, poesia, e perché no arti marziali diventano strumenti e veicoli di una comunicazione più “approfondita” e sicuramente più diretta.
E’ innegabile che in tutto il mondo esistono moltissimi, stili e forme di Aikido (allegato A – Stili di Aikido) riunite sotto associazioni e federazioni che tutelano e rappresentano queste espressioni e sempre più molte persone si avvicinano ad una di queste organizzazione per poter apprendere e praticare.
Compito di una organizzazione è quello di curare aspetti organizzativi e tecnici e per far si che i propri consociati possano migliorare e progredire, bisogna codificare sempre più e sempre meglio questi aspetti. Inevitabilmente questo genera un linguaggio verbale e non verbale veicolo di comunicazione, scambio, e comprensione tra i componenti di questa organizzazione, ai quali viene data (allegato G – Didattica) una “struttura” somma di informazioni, conoscenze tecniche, formazione e preparazione. Questa “struttura” varia ovviamente a seconda dell’organizzazione e delle finalità che ogni gruppo si è saputo dare e costruire.
Ne consegue che il linguaggio acquisito e la comunicazione scaturita funziona solo tra gruppi di persone (praticanti) appartenenti alla stessa comunità e diventano incomprensibili per chi è “strutturato” in maniera diversa.
Se dico “Scuola quadri” per la nostra associazione ha un significato ben preciso per un altro gruppo “rappresenterà” tutt’altra cosa… cosi per Ikkyo che avrà significati, esecuzioni e principi diversi a seconda dello “stile”.
Il tipo di aikido che si pratica diventa quindi di …”parte”… si ghettizza, diventa fazioso e perde inevitabilmente il messaggio di fondo lasciatoci dal Fondatore, la sua… “universalità”.
“La struttura” concepita come elemento di formazione diventa quindi a lungo andare una trappola (allegato E – Il mondo percepito) ed un elemento di isolamento per il praticante che si allontana dal suo gruppo in quanto perde la possibilità di comunicare con elementi di altre “comunità” correndo il rischio di mettere o essere messi in difficoltà dal… “linguaggio di un’altra struttura” (allegato B - Linguaggio e Comunicazione) , da un praticante di un altro “stile” o addirittura da un aggressore esterno che non mai praticato arti marziali. In ambito generale queste differenze di “strutture” generano inimicizie tra le persone, razzismo tra i popoli, odio tra religioni.
“Una struttura” quindi, che ha avuto come finalità uno scopo ben preciso, diventa la rete in cui si resta avviluppati e intrappolati, diventa elemento coercitivo (Allegato-H-Barriere-Emozionali)per la mente e deterrente per la spontaneità del corpo (allegato F – Percezione del Corpo)deve, sottolineo deve necessariamente essere abbattuta…
Per innalzare ponti, un’impresa di costruzione si serve di strutture (ponteggi), che si perfezionano sempre più nel tempo. Completata l’opera, se queste non vengono abbattute, è impossibile utilizzare il ponte.
“Destrutturate” quindi… Liberarsi di una serie di elementi, forme e concetti, serviti unicamente per apprendere principi. Questo mi ricorda molto gli ultimi anni di O-Sensei o Yamaguchi che si muovevano senza forma e senza schemi. Liberi e non più condizionati dal pensare, dal proprio corpo (allegato D-Il Corpo)e dalla tecnica stessa.
Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che ci vogliono anni per arrivare a questo. Certo la conoscenza tecnica è “un aspetto” fondamentale ed indispensabile. Esiste molta differenza tra un pittore Naif e uno che proviene dall’accademia di belle arti, tra uno che suona il pianoforte ad orecchio e uno che ha frequentato il conservatorio. Approfondirla e migliorarla dovrebbe e deve essere un processo che da non interrompere mai (il grande Arthur Rubinstein”in età molto avanzata si esercitava al pianoforte nove ore al giorno). Ma è importante sottolineare che questo è un…”tramite”… un “mezzo” e non una finalità. Picasso, dopo un periodo di quattro o cinque anni di istituto artistico presso la “Llotja” (strutturazione) ed altrettanti di accademia presso “S.Fernando” (destrutturazione) ha iniziato la sua attività artistica.
Queste due fasi implicano la consapevolezza di un qualcosa che sia diverso da un semplice sistema di insegnamento ed apprendimento di scarne tecniche tese ad un’efficacia finalizzata ad una sopraffazione del nostro caro, accondiscendente e addomesticato compagno di allenamento…
Arte Marziale”… Credo che la cosa sia meritevole di una discussione approfondita (allegato C-Arte come Sistema di Comunicazione) in quanto, da una serie di considerazioni, possano scaturire riflessioni piuttosto rilevanti su cosa facciamo, perché lo facciamo e qual è la finalità.
“L’esperienza giornaliera c’insegna che la gente ‘vede’ le cose in modo diverso, (allegato L-Il Processo della Comprensione) che ogni persona ha una nozione leggermente differente di realtà. Quando cultura, tecnica, sensibilità, estro e fantasia concorrono ad esprimere questa differente realtà possiamo parlare di arte. L’arte costituisce, quindi, una…parte di questo processo di definizione della realtà. L’artista usa strumenti mentali diversi rispetto allo scienziato, egli rovescia il processo, partendo dal concetto e muovendosi verso l’analisi piuttosto che nell’altra direzione; l’artista ha una mitologia personale altamente sviluppata e profonda, una visione del mondo creata con molta immaginazione e che arriva in profondità. Ogni sua opera, ogni sua azione di ricerca, ogni suo pensiero, diventa una manifestazione di quel mondo, e ci permette di sperimentare l’immagine di quella realtà così come quel creatore la concepisce.”
Un’organizzazione, nasce, cresce, si evolve solo se ha ben chiaro il processo di formazione nella sua interezza… Se perde di vista questo obiettivo corre il rischio che si possa inculcare come vera una… traduzione e trasposizione di questa finalità. Diversamente come un artista non abbandona mai l’idea di dipingere o suonare assisteremo sempre più all’abbandono di gradi elevati.
Apprendimento tecnico, perfezionamento tecnico, destrutturazione sono i tre capitoli principali che dovrebbero caratterizzare un processo formativo. I primi due sono più o meno curati in tutte le organizzazione. Manca il terzo, manca la struttura e la didattica della destrutturazione.
Condizionamento, prevedibilità ed imprevedibilità, spontaneità, adattabilità, timing (allegato m-Tempo e Spazio) sono solo alcuni degli aspetti di questo processo.
Per concludere vorrei ricordare che il m° Tissier e il m° Yamaguchi prima di lui, hanno sottolineato spesso che l’Aikido insegna ad avere un incontro e non uno scontro sul piano fisico e quindi è una Via di relazione e questa implica a sua volta un linguaggio…
Ma il linguaggio è la costruzione e la proiezione di una rappresentazione della realtà e questa rappresentazione non riuscendo ad esprimerla la sostituisce e la soppianta.
Anche se possiamo asserire oggettivamente che esistono oggetti al di là della nostra conoscenza, esiste solo ciò che conosciamo e conosciamo solo ciò che riusciamo ad esprimere attraverso l’uso del linguaggio.
La realtà quindi è quella che percepiamo e quello che percepiamo varia ogni giorno per cui la realtà cambia con noi…
Luigi Branno
“Ogni giorno che passa ho l’occasione di constatare l’impermanenza
ed instabilità delle cose attorno a me.
Tutto muta rapidamente spesso lasciandomi orfano di quelle belle,
calde certezze che un tempo mi cullavano il cuore ed alle
quali mi tenevo stretto come ad ancore di salvezza.
Mutevoli, a maggior ragione mi appaiono le idee
ed i principi su cui poggia il mio pensare.”
Giovanni Granone
Articolo impegnativo; da rileggere con calma, più volte. Da meditare. Sarebbe interessante che commentassero maestri e praticanti di varie scuole, sulla scia della loro (lunga) esperienza.
Non si puà che essere grati. Domo arigato, sensei
da un po’ di tempo rifletto su questi aspetti, la mia personale soluzione per non rimanere ingabbiato in una sola “scuola” è quella di partecipare a stage di “diversi” maestri.
Diversi per scuola, età, esperienza.
Da ogniuno di loro “prendo” quello che mi piace, quello che riesco e quello che corrisponde alle mie attitudini.
complimenti per l’articolo, è molto ben fatto, grazie.
Leggendo mi è venuto in mente il M° Giovanni Granone, che ho avuto la fortuna di conoscere nel ’93 quando ho iniziato a praticare Aikido, mi è piaciuto leggere le sue parole alle fine dell’articolo. Articolo interessante che fa riflettere su più punti. Io posso solo dire che l’Aikido è in continua evoluzione…per alcuni anni non ho praticato ed ho lasciato un modo, quando sono tornata sul tatami ne ho trovato un altro ( questo non vuol dire che il primo modo era sbagliato , ma è cresciuto e si è modificato. Da tre anni pratico con costanza e che anche in questo momento l’Aikido è in evoluzione…Per me praticare è una passione che cerco di arricchire più che posso…
molto interessante questo articolo, induce a profonde riflessioni di vita.
Speranza vana, Augusto,… i Maestri di aikido non leggono, non pensano, non partecipano, non insultano, non si incuriosiscono. E’ da qualche anno che seguo aikidoedintorni magazine e non mi è mai capitato di leggere un commento, una indicazione, un quesito se non in occasione della discussione sui professionisti…. si sa il dio denaro può tutto…. L’articolo del M° Branno è in linea con le linee guida, vi si prospetta un innovativo progetto di lavoro guidato dall’idea base di una esatta definizione della disciplina aikido, definizione dalla quale tutto diventa consequenziale ed inevitabile pena la snaturalizzazione della stessa. Fulcro centrale: la destrutturazione, che questa volta il Maestro ci presenta come unico possibile esito del lavoro per il modo di essere dell’uomo nel mondo da un punto di vista percettivo ed emozionale. Se è vero che la percezione è soggettiva, la comunicazione difficile, il linguaggio limitato, la logica inopportuna, tanto vale lasciare fare al corpo… o meglio ad una coscienza corporea adeguatamente istruita dalla pratica, tanto vale non credere di avere una tecnica infallibile e nulla da imparare. So che, in linea con l’atmosfera che si respira nel sito, l’articolo del M°Branno è molto di più… è soprattutto un invito alla riflessione, alla non demonizzazione del dubbio, è un invito alla relazione ed alla espressione libera, proprio sulla base di un tranquillo riconoscimento dei limiti oggettivi della struttura uomo. Quando crollano le certezze, si ha maggiore rispetto del pensiero altrui, si accende la curiosità ed il desiderio di ascolto. Ringrazio per il bellissimo lavoro il M°Branno… al quale chiedo di non fare quei graziosi aggiustamenti con i quali, con la Sua consueta eleganza, cerca di arginare, prima di approvarli, i miei “passionali commenti”… che qualche Maestro di aikido… caposcuola o dir si voglia mi sconfessi…. sarò il primo a trarne godimento.
Ps. Molto interessante l’allegato sullo spazio e sul tempo e la loro reciproca interazione. Affascinante il Suo aikido, e quella sorta di momento = tempo 0 che nasce dal Suo non dare sensazioni mentre il corpo si aggiusta e crea una struttura efficace… bisogna provare questa sensazione lavorando con Lei sul tatami… è disorientante… nel momento zero non accade nulla, nessuna percezione, nessuna sensazione di ostilità, nessuna intenzione e poi nell’istante successivo accade tutto, in un unico gesto, atto definitivo, senza alcuna possibilità per ukè. E’ una esperienza che si può solo provare… per l’appunto non facilmente comunicabile attraverso il linguaggio ma che la dice lunga, per chi l’ha provata, sulla validità del Suo lavoro.
Grazie.
Caro Marco, non sarei così pessimista. Di maestri che si interrogano ne ho conosciuti vari, e di varie scuole (oltre che di varie discipline). Il problema, piuttosto, è quello di inserire le intuizioni (a volte anche geniali) in una pratica coerente e di trovare la chiave di condivisione con i propri allievi (e, in senso più generale, con gli altri praticanti).
Per la destrutturazione: sono certo che non ci possono essere equivoci. La destrutturazione è tanto più utile e perfino necessaria quando si cura costantemente una intelligente strutturazione (alla quale periodicamente ritornare).
Caro Augusto, pessimista è colui il quale posto dinnanzi ad una molteplicità di esiti possibili, non avendo alcun dato premonitivo, statistico, esperenziale a disposizione, propende naturalmente per quello peggiore. Ma io di dati ne ho eccome, tu mi sconfessi ne sono contento e ti invito a comunicarmi i nomi e cognomi dei maestri e delle scuole che negli ultimi anni hanno inziato un processo di verifica, critica, analisi della disciplina aikidoistica. Misero me, ogni qual volta che oso visitare i vari siti sull ‘argomento mi imbatto in disgustosi quanto inutili articoli sull’amore universale e sull’aikido insegnato ai bambini, quando non mi tocca sentire un grado altissimo di aikido che candidamente afferma: “ho la forza e l’adopero”…no comment. Certo si può essere più o meno versati nel tradurre in didattica il lampo di genio estemporaneo avuto sul tatami, allora chiedo: perchè tra i tutti i ricercatori del pianeta esiste un filo diretto, ogni intuizione viene condivisa e discussa, ogni risultato sottoposto a critica ed in questo campo no? Perchè esiste una tremenda paura a scoperchiare il vaso, a dover ammettere che se ukè non mi aiuta io non faccio la mia bella figurina. Non c’è niente di male Augusto a guardare in faccia le cose, ed io sono convinto che è proprio questo andiamo avanti finchè è possibile nel migliore dei modi e speriamo che nessuno se ne accorga ad essere la causa di molti mali della situazione che viviamo, a cominciare dalla monnezza. Se per la destrutturazione non possono esserci equivoci allora sarai così garbato da spiegarmi perchè usciti dal laboratorio dei maestri Branno il meno che ti puoi sentir dire, anche ad alti livelli è:…”e no!… Il piede lo dovevi mettere qui…. la mano là….un passo quì e per amor di dio l’altro lì”….non ci sono equivoci per te, per noi, ma per il resto del territorio italiano si invece, ed il bello è che nessuno se ne domanda la ragione nemmeno quando dopo vent’anni di pratica si avverte la propria insufficienza e ci si mette invece ad aspettare fiduciosi il salvifico KI.
Caro Marco, anzitutto “sconfessare” è una parola un po’ grossa, che non credo si adatti al mio intervento. Semplicemente dicevo che di persone che si interrogano ce ne sono. Il che non vuol dire che si diano sempre risposte giuste o quantomeno condivisibili. Certo, le tecniche funzionano se Uke aiuta. Ma che significa “aiuta”? E poi: ci sono campi dove una comunicazione è possibile se l’interlocutore non aiuta (cioè, coopera)?
Come vedi, a me forse interessa più fare (bene) delle domande che avere delle risposte più o meno esaurienti.
Per il resto, sono convinto che il mio maestro, qui ed ora, sia il migliore possibile, per me. Il che non vuol dire che non abbia rispetto e spesso stima anche per gli altri; e neanche che non cerchi di imparare qualcosa anche dagli altri. Dopo ventuno anni di pratica di aikido (più tre di karate e varie esperienze di Taijiquan), mi sento forse di valutare, ma non di dare un giudizio definitivo. Ma ognuno si rapporta alle cose e alle persone secondo la propria sensibilità. Un caro saluto e buona pratica.
Sono un ragazzo appassionato di arti marziali e pratico Karate. Cosa vuol dire che le tecniche funzionano se ukè aiuta? allora è vero che l’aikido è una cosa ridicola tutta finta?
Caro Giuseppe, “aiutare” significa stare alle regole di quello che si sta studiando, Visto che fai karate, prendo degli esempi dal Karate. Se stai facendo un kata non puoi introdurre tecniche non previste dal Kata. Se stai facendo kihon (ad esempio kihon-ippon kumite) non puoi variare gli attacchi. Se stai facendo jiyu kumite non puoi introdurre elementi non previsti (ad esempio colpi non consentiti o attacchi armati).
Nell’aikido è la stessa cosa, ma nelle nostre modalità di allenamento. E’ un segno dei nostri tempi che molte persone non riescano a distinguere il concetto di “finto” da quello di “convenzionale”. Ovviamente, il praticante di arti marziali deve andare oltre le convenzioni, sapendo che la realtà va oltre le convenzioni (oltre il kata, oltre il kihon, oltre le regole del kumite).
Buona pratica,
AG
PS: non è l’arte che è ridicola. Possono esserlo alcuni praticanti. Ma questo vale per tutte le arti marziali, e forse per tutto nella vita.
Il concetto di universalità è affascianante ma è molto lontano dal concetto di umanità. Tutto ciò che fanno gli uomini finiscono con il personalizzarlo culturalmente, a partire da alcune religioni che pur partendo da uno stesso principio percorrono strade diverse. Anche per le arti marziali sarà così, ci sarà sempre qualcuno che aggiunge e complica.
A proposito della destrutturazione è giusto, come dici spesso, che andrebbe applicata quotidianamente ad un sacco di cose. Ma è scomodo liberarsi di comodi fardelli. Tuttoggi mi chiedo, ancora, perchè gli inglesi guidano a sinistra.
Diego