Il mattino dell’otto luglio 1853 i guardiacoste giapponesi della baia di Uraga scorsero delle navi che si avvicinavano; erano due fregate da guerra nordamericane a vapore con seicento uomini a bordo. Ci fu il panico….
Oltre allo spionaggio vero e proprio, costoro erano esperti di sabotaggio, tortura, ed appunto, l’eliminazione fisica degli avversari (omicidio mirato), azioni tipiche dei commando. Praticavano le arti marziali ai livelli più eccelsi. Erano, in breve, polivalenti. Non di rado, avevano còmpiti di polizia per il mantenimento dell’ordine pubblico, oppure costituivano una specie di servizio segreto alle dipendenze dello daimyo locale.
A 22 anni la vita ancora riserva molte sorprese sulla strada. Una di queste, per me, è stata incontrare il Maestro Luigi Branno. No, non ho intenzione di parlare delle sue qualità, per altro difficilmente negabili. Ho intenzione di fare una breve ma importante riflessione personale su quello che un arte marziale instilla nei cuori ma soprattutto nelle menti aperte di chi la pratica, siano essi allievi o maestri…
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