Oscillando tra “kontin” e “sanran”

Una definizione estremamente semplicistica della nostra arte ci permetterebbe di annoverarla tra quelle marziali di tipo difensivo, di derivazione moderna e di origine giapponese e che attinge le sue radici dalle antiche scuole tradizionali del BUJUTSU (tecniche di guerra con il fine ultimo di abbattere l’avversario). Tuttavia nella sua evoluzione ormai l’Aikido appartiene al BUDO (via del guerriero), intendendo con tale termine tutte quelle discipline che utilizzano l’arte marziale come mezzo per raggiungere un perfezionamento dell’individuo sul piano spirituale. Come è noto ai più, infatti, BUDO nella lingua giapponese è formato da due ideogrammi: BU che significa “lancia” ed è rappresentato da una lancia che si spezza, e DO che dal cinese rappresenta un “correre con la testa” nel senso che è insita non solo l’azione fisica, ma anche quella mentale ed in più definisce una via che richiede senso di responsabilità e superamento dello scopo che apparentemente persegue. Il Budo, e di conseguenza l’Aikido, lo si può dunque definire un sistema per entrare attraverso la pratica della tecnica (WAZA), ma utilizzando anche l’energia (KI) e lo spirito (SHIN), in contatto con il Sé, in modo da affrontare come nemico un’entità non fisica esterna, ma interna e, nello specifico, “ciò che non siamo realmente”. E’ di conseguenza capace di tener testa e comprendere le distorsioni dell’Io, o che da esso provengono, di tentare di superarle al fine di ricongiungere la propria essenza a quella divina, alla vera natura dell’Universo.
Il BUDO è una via di sacrificio perché richiede sforzi enormi nel districarsi dagli ostacoli che la stessa disciplina ed il Maestro propongono. Qualsiasi padronanza della tecnica fine a se stessa si traduce in un fallimento e conduce quasi sicuramente ad un’ipertrofia dell’Io. Non c’è alcun scopo di “Potere” nel Budo, ma al contrario il superamento dello stesso. Rappresenta un divenire ed un viaggio meraviglioso nella coscienza del Sé, purché il metodo proposto sia quello giusto ed il Maestro che lo propone sia una persona che conosce, per averla già percorsa, tutti gli ostacoli della Via, e che sia proteso non al potere egoistico, ma come intermediario tra il Maestro Eterno ( O Sensei e per estensione la Via stessa) e il Maestro interiore (l’allievo), allo smantellamento di una struttura falsa. D’altra parte è necessario che l’allievo praticante si conformi alle regole del Dojo (DOJOKUN), al giusto comportamento (SHISEI) e ad un rapporto corretto con il proprio Maestro (SHITEI) se vuole che il lavoro svolto sul tatami risulti proficuo. L’allievo dev’essere inoltre in grado di ascoltare ed osservare ciò che avviene dentro di sé, di praticare il JITOKU (autoapprendimento, letteralmente guadagno per se stesso).Tutte queste condizioni unite permettono che si possa parlare di Budo. Tante volte né l’allievo né l’insegnante si conformano ai principi base ed ecco che allora per anni non si pratica né Budo né Bujutsu con l’ovvia conseguenza di non poter mai raggiungere quella giusta postura fisica ed interiore che permette di accedere agli insegnamenti di O Sensei. E’ necessario, a mio avviso, e sempre, che le condizioni di cui sopra siano rispettate, che l’allievo per progredire, con l’aiuto del proprio insegnante, inizi a coltivare oltre ai fondamenti comportamentali del Budo, anche la capacità di comprendere i collegamenti tra le tecniche stesse e tra i principi che le regolano, come ad esempio “CIELO e TERRA“, “ACQUA e FUOCO“, e riconoscerli nelle tecniche stesse. Se non si fa questo il concetto di Tecniche Divine citate da O Sensei Ueshiba non assume alcun valore. Fare Geiko sudando come un folle è senz’altro positivo, ma probabilmente facendo atletica o corsa si suda di più, mentre se si è interessati solo all’efficacia della tecnica è meglio fare un qualsiasi altro Jutsu. Ed ecco che allora si oscilla tra stati diversi e c’è chi, dimenticando il concetto di DO o di KOKYU, si sente frustrato perché non trova le proprie tecniche efficaci ed allora si rifugia ancora di più nella forza fisica (CHIKARA). O chi invece rifiutando la forza, ma, non acquisendo Kokyu, si trova ad eseguire tecniche che considera rilassanti, ma che, ad occhio esperto, sono prive di vitalità. L’interazione tra questi due tipi di allievi è poi disastrosa. Spesso non si riesce a trovare una via di mezzo e quindi si verifica il noto fenomeno di cercare qualcosa di spirituale al di fuori dell’Aikido, oppure si passa ad arti marziali più chiare nei loro scopi marziali o competitivi. Eppure quello che c’è di spirituale o di efficace nell’Aikido è stato sempre lì, solo che non si è riuscito a coglierlo. C’è da dire che per noi occidentali la Via è senz’altro più difficile non essendo preservati da un’identità nazionale al pari dei Giapponesi i quali praticano senza chiedersene il perché. Noi per differente formazione culturale abbiamo bisogno di interrogarci del perché facciamo una pratica e dove ci potrà condurre. Il problema è che avendo a disposizione poche informazioni, spesso si arriva a darsi risposte distorte come quelle di cui sopra. Vogliamo dare un senso a ciò che facciamo, non lo facciamo e basta. Rifacendomi alla meditazione SOTO ZEN, quando si è in zazen il praticante spesso oscilla tra lo stato di Kontin (senza Kokyu, ipoattività, sonnolenza) e lo stato di Sanran (tensione, iperattività, nervosismo, impossibilità a conservare una postura rilassata). Guarda caso condizioni molto simili a quelle delle categorie di allievi di Aikido che ho descritto prima; e come è difficile per questi protendere alla giusta postura, così per i nostri allievi è difficile protendere non solo alla giusta postura, ma anche al giusto movimento, quello che potrebbe dare una risposta alle nostre interrogazioni o frustrazioni. Riuscire a stare in equilibrio tra questi due stati produce tecniche pure e giusto atteggiamento, e non distorsioni dell’Io che portano tra l’altro il più delle volte a sopportare come nello stato di Kontin, o a reprimere come nello stato di Sanran. Solo ponendosi al centro tra questi due stati in una condizione di all’erta, come durante la meditazione, dove è necessario insieme alla respirazione trovare l’equilibrio tra i punti di tensione (legamento nucale, quinta vertebra lombare ed i pollici nel mudra Hokkajoin) e quelli di rilassamento (viso, spalla, addome) è possibile accedere alla postura corretta e di conseguenza alla giusta Via. Ma a me sembra che molti Aikidoisti oscillino tra questi due stati passando dall’iperattività alla ipoattività, dal produrre danno nell’iperattività a subirlo nell’ipoattività. Dobbiamo avere la giusta postura in ogni tecnica se vogliamo accedere ad un vero e proprio scambio con il nostro partner, se vogliamo sentire davvero il Kokyu e il Ki e dare un valore all’Aikido che ci nasce spontaneamente in questo modo dall’intuizione e non dalla mente relativa che ci disturba in un senso o nell’altro. Spesso, rispettando tutte le condizioni precedenti, esorto inoltre i miei allievi a sentire il proprio corpo e quello del compagno, e a modellarsi alle varie situazioni che avvengono sul tatami in modo da sensibilizzarsi al massimo. In questo senso l’Aikido è come stare in zazen ove è necessario sempre creare dei piccoli aggiustamenti per non perdere la postura utilizzando i punti di tensione se si scivola in Kontin o quelli di rilassamento se si è presi nel Sanran. Nessuno sforzo è diretto troppo all’esterno, nessuno sforzo è diretto troppo all’interno: è solo mettere costantemente in equilibrio interno ed esterno ed ascoltare. Così nelle tecniche la giusta postura porta ad una giusta respirazione e permette sia a tori che a uke di lavorare bene insieme e comunicare al di là delle parole realizzando la comprensione intuitiva a ciò che eseguono. In tal modo l’Aikido ha uno spessore e ci nutre ed è bastante perché va profondo nell’essere. Molti praticanti rifiutano tutto ciò che O Sensei ha detto, a dire il vero in modo molto criptico, e per noi occidentali difficile da capire come anche, a mio avviso, per molti orientali. L’idea portante è “non comprendo quindi elimino”. Eppure un tentativo di comprensione va fatto! Ed è compito degli insegnanti studiare e dopo verifiche tentare di porgerlo, per quanto è possibile ed in umiltà ai propri allievi. E’ pure vero che l’Aikido di O Sensei è permeato dall’Omoto Kyo che in Giappone si iscrive tra i movimenti religiosi popolari non definibili precisamente con il Buddismo o il Confucianesimo. E’ questo una sorta di insieme di vaghe credenze magico-religiose vestigia di elementi arcaici o successive a questi con in più elementi legati alla Natura, ma comunque radicate profondamente nell’animo del popolo comune (basti pensare che i leader di tali religioni nella maggior parte dei casi erano contadini analfabeti) e tra l’altro non tollerati dal Governo Centrale che le soppresse riducendole a mo’ di piccole sette dato il loro carattere che decisamente ostacolava il processo di modernizzazione del Giappone (ma questo potrebbe essere trattato in un altro articolo).Resta tuttavia difficile orientarsi in queste credenze e riti tanto più che l’atteggiamento dell’Aikikai è teso ad evitare tali informazioni. Eppure molto di ciò che dice O Sensei possiamo ritrovarlo ispirato dalle stesse credenze che si tende a dimenticare. Dopo questa divagazione ciò che mi preme sottolineare comunque è almeno porre la nostra attenzione anche nelle cose più semplici e facili da seguire. Ad esempio mi viene da mettere in relazione adesso, ma potrebbe essere esteso lo stesso processo anche a varie altre tecniche, la postura in zazen con le posizioni di spada che conosciamo (GO’NO KAMAE) non tanto per quanto riguarda il significato dei cinque elementi e dei collegamenti alle tecniche, bensì rispetto all’osservazione interna. Prendiamo ad esempio Seigan (Chudan no Kamae): a volte mi chiedo quanti si osservano o sentono il proprio corpo nell’assumere tale posizione. Innanzi tutto c’è l’allievo in stato di Sanran che stringe ambedue le mani intorno al bokken in modo fortissimo impedendosi qualsiasi movimento effettivo con un conseguente, se eseguito, menuchi non efficace e privo di vitalità. C’è anche l’allievo che, in stato di Kontin, a stento riesce a mantenere il bokken ed è in una condizione di ipoattività muscolare tale da riferire che il bokken è molto pesante. Nei due casi non c’è ascolto interno-esterno. Quando sto in seigan spesso osservo la differenza di presa tensiva fra le due mani: la sinistra stringe forte e la destra in modo leggero. Osservando le mani mi sembrano in buona postura, mi sembra di riuscire ad equilibrare mani e bokken senza che la mente vaghi molto. Osservo che le mani partecipano insieme al mantenimento dell’arma, il dorso della mano sinistra che guarda ciò che è alla mia sinistra ed il dorso della mano destra che guarda ciò che è alla mia destra: le mani realizzano una postura opposta e simmetrica. Allora mi viene in mente che in tutte le cinque posizioni di spada fino a wakigamae la tensione nella mano sinistra e in quella destra è la stessa, cambia solo la guardia, e lo sforzo è solo nel conservare l’equilibrio tra i punti di tensione e quelli di rilassamento. Mi vengono alla mente i detti di O Sensei quando recitano che la sinistra è forte e maschile e rappresenta il Fuoco (Yang) e che la destra è leggera, femminile e rappresenta l’Acqua (Yin). Ed allora applico i pensieri di O Sensei alla postura delle mie mani e ascolto. C’è immobilità nella guardia: devo solo stare attento a non passare in uno stato di iperattività o di ipoattività come in zazen se non voglio disturbare l’ascolto interno. Mi tornano in mente le parole scritte di O Sensei: MASAKATSU, AGATSU, KATSUAHIABI (Il cuore dell’Aikido è: la vera Vittoria è la Vittoria sul Sé, o giorno della fulminea Vittoria!). Masakatsu si associa alla sinistra, Agatsu alla destra, e Katsuahiabi è la perfetta combinazione di entrambi che dà potere alle tecniche. E resto così in Seigan ad ascoltare ed osservarmi stando attento a sentire la differenza tra la destra e la sinistra. Poi ricordo di aver letto che O Sensei chiamava il suo modo di fare Aikiken: Misogi no ken come metodo di purificazione. Ricordo che fuoco in giapponese si dice Kaji e acqua Mizu e che dall’unione di ka(ji) e mi(zu) nasce Kami (divinità).
Il maestro Ueshiba chiamava il suo modo di fare Ken anche Shochikubai Kenpo ovverosia la scherma del Pino, Bambù, Prugno. Uno dei Doka di O Sensei così recita:
Rendono puri
Pino Prugno e Bambù
Radice del Ki.
Da dove germogliano?
D’Acqua e Fuoco cangianti.
Il Pino è associato a Katsuahiabi, il Bambù ad Agatsu ed il bocciolo del Prugno a Masakatsu.
E penso alle mie mani che sostengono il bokken.
E’ certo che le parole di O Sensei sono esoteriche, ma lo stare così in seigan è come stare in meditazione. O Sensei diceva che è quando ci si muove che nascono le tecniche divine dell’Aikido semprechè ci si conformi ai principi base.
Le braccia sono in atteggiamento identico come il disegno del Tao. E poi decido di muovermi dalla posizione Seigan: avanzo con il piede sinistro e faccio uno tsuki ed ascolto ed osservo. Resto in questa posizione, nulla è cambiato nella presa tensiva delle mani, con uno tsuki sinistro la mano sinistra resta Yang e la mano destra resta Yin, ma le braccia perché il movimento sia giusto assumono una postura ed un disegno differente ed allora mi rendo conto che il braccio destro è posto in alto come se stessi per subire Ikkio (acqua) e se qualcuno mi spingesse il braccio destro, lo farebbe portandolo verso terra ed allora osservo il braccio sinistro che sta sotto e mi accorgo che è posto come il braccio di un uke che sta per subire Shionage e che se qualcuno volesse eseguire tale tecnica dovrebbe portare il braccio verso il cielo.
Collego l’acqua ed il fuoco alla terra ed al cielo. Per fare un buon tsuki devono essere ben combinati insieme acqua fuoco ka(ji) e mi(zu): le tecniche divine.  Mi rendo conto che se non avessi l’arma in mano e se allontanassi le braccia l’una dall’altra conservando il disegno delle mani otterrei la figura di tenchinage (proiezione cielo/terra). E poi mi muovo ancora e decido di passare allo tsuki destro avanzando con il piede destro. Assumo la postura ed ascolto ed allora realizzo che si è invertito tutto. La mano sinistra ora mantiene dolcemente, mentre la destra è diventata più forte nella presa; il braccio che prima era atteggiato a shionage adesso è diventato come se stesse subendo ikkio ed il braccio destro ha assunto la posizione da ikkio a shionage (…d’acqua e fuoco cangianti). Yang si è trasformato in Yin e viceversa.  Osservo le braccia in tale posizione, elimino l’arma, allontano le braccia l’una dall’altra ed allora ottengo la figura opposta e complementare a tenchinage, e cioè Sokumeniriminage. Riprendo il bokken e faccio i due tsuki in velocità e in modo continuo e mi rendo conto che disegno una spirale e che le mie mani passano da Yang a Yin, dall’Acqua al Fuoco, dal Cielo alla Terra. Mi rendo conto che tale autosservazione può essere applicata a qualsiasi tecnica.

Mi fermo e penso alle parole di O Sensei:

E’ giunto il tempo!
Stringi le corde tese
A unire saldi
Cielo, fuoco, acqua e terra.
Vieni e stai saldo con me!”

Rino Bonanno



One Comment

  1. anon wrote:

    Il video non si vede (dice che è privato).

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