Chie-chan e io
Chie-chan e io è l’adattamento teatrale del romanzo omonimo di Banana Yoshimoto, inedito in Italia, e che è stato pubblicato in contemporanea con l’allestimento per il Teatro Festival Italia. Il romanzo racconta in prima persona la storia di Kaori, una donna di 42 anni, e il rapporto profondo che la lega a sua cugina Chie-Chan, di cinque anni più giovane.
È un legame particolare quello tra le due donne, al punto da rendere impossibile una vita fuori da questo nucleo; una DIPENDENZA AFFETTIVA che mette in crisi la libera esistenza, priva di legami, della donna giapponese in cerca di emancipazione. Il mistero della vita appartata delle due protagoniste ha il potere di colmare il bisogno di affettività in maniera più completa e appagante di quanto la famiglia di origine o un uomo potrebbero fare. Banana riprende in questo libro, leggero e profondo, alcuni dei suoi temi ricorrenti: la solitudine, la convivenza con la morte e, soprattutto, la famiglia come invenzione: l’autrice contrappone alla famiglia biologica – in forte crisi nella società moderna – un nucleo familiare non convenzionale, all’interno del quale, in questo caso, il polo maschile ne è escluso. Come sempre, la Yoshimoto ci mostra personaggi che non hanno radici, orfani, che tentano di superare questo trauma “costruendosi” un’altra vita, quasi da favola, che aiuti loro a spiegare la realtà, consentendoli di entrare nell’età adulta. La moda e l’Italia, sono due leitmotiv del romanzo. Altra ossessione del Giappone contemporaneo. A creare, infatti, un’atmosfera da sophisticated comedy contribuisce il fatto che, per lavoro, la protagonista viaggi in continuazione fra Giappone e Italia, acquistando e rivendendo abiti di celebri griffe (citate più volte nel testo), e che alcune scene si svolgano in aerei, ristoranti di lusso ecc. Pur non essendo personalmente vittime del fashion style, quindi, le due donne vivono costantemente nel glamour. Tuttavia la profondità delle riflessioni della narratrice su temi quali il conflitto fra l’aspirazione alla libertà e la dipendenza affettiva, crea un contrasto interessante e insolito per la superficialità caratteristica degli ambienti del glamour. Come scrive Garboli a proposito di Falbalas, film ambientato nel modo dell’alta moda parigina, “il dosaggio tra i fatti del cuore e la vanità (…) non potrebbe essere più perfetto.”
Molto probabilmente il motivo del racconto sta proprio qui: nella contrapposizione tra la vita pubblica di rappresentanza, lo sfavillio degli ambienti della moda, e il silenzioso e pacato comportamento della vita privata, fatta di gesti sempre eguali, di piatti cucinati immancabilmente nello stesso modo e di un’unica canzone ripetuta. Commenta Amitrano: “come rendere in teatro un testo che si presenta così impervio a una trasposizione drammaturgica? Bisogna trovare una soluzione che mantenga viva l’attenzione del pubblico senza sacrificare il flusso di pensieri della narratrice che nel romanzo è tutto. Come restituire questo stream of consciousness in una forma diversa dal monologo? Ho immaginato il testo di Banana, cioè il monologo interiore di Kaori, fluire attraversando le voci, i volti, i corpi di quattro attrici, come in un gioco polifonico che solo ogni tanto si solidifica in scene tradizionali, nelle quali il testo è diviso in un gioco di battute che rimbalzano in personaggi riconoscibili”.
L’ALLESTIMENTO:
La vicenda sarà rappresentata in uno spazio minimalista e rarefatto, moderno e nello stesso tempo esteticamente pensato sulla tradizione Zen. Ciò che mi preme raccontare è la MANCANZA DI RADICI delle protagoniste, la loro ossessione a ricreare una nuova tipologia di famiglia e quindi un nuovo tipo di luogo in cui vivere. La scena dovrebbe avere una tale leggerezza da dare allo spettatore l’idea del volo, di uno spazio agile e in continua trasformazione (senza radici appunto): un aereo, un ristorante, una boutique e una casa che non è una casa ma un assemblaggio di moduli bianchi e “svelti”. Abiti che entrano in scena come se “apparissero”, e, con la stessa facilità, un tavolo da pranzo che si trasforma in un letto di ospedale, o di una poltrona di un cinema che diventa il sedile di un aereo… tutto affinché si possa restituire allo spettatore il commovente tentativo di Banana di trovare un nuovo ed equilibrato spazio vitale.
Regia: Carmelo Rifici
Scene: Guido Buganza
Costumi: Gianluca Sbicca e Simone Valsecchi
Assistente alla regia: Agostino Riola
INTERPRETI:
Pia Lanciotti
Cinzia Spanò
Alessia Giangiuliani
Caterina Carpio
Guglielmo Menconi
un particolare ringraziamento a FENDI per la gentile collaborazione con il patrocinio della Fondazione Italia Giappone una produzione Teatro Eliseo – Mercadante Teatro Stabile di Napoli – Napoli Teatro Festival Italia
dell’autrice ho letto Ricordi di un vicolo cieco, molto bello.
mi affretterò a leggere anche il libro presentato in questo post interessantissimo.
un saluto. minadue
la recensione stimola alla visione dello spettacolo ben presentato anche nella locandina.
Certamente leggerò il romanzo di Yoshimoto.
Di recente ho letto “L’anulare” di Yoko Ogawa, considerata la più importante scrittrice giapponese contemporanea, che con una scrittura pulita ed elegante coinvolge senza respiro in questo romanzo inquietante in un’atmosfera onirica e impalpabile!
un saluto, elvira