Aikido Stress Applications

 

 

Attacco imprevedibile

Nelle arti marziali che partono dalla premessa di un combattimento totale, ossia senza limitazioni di regolamento, il primo problema che ci si pone è come superare la paura di fronteggiare un avversario che, carico di adrenalina, ha mille modi per attaccare e nessuna ragione per fermarsi.

  Scene di caos durante tafferugli da stadio

Applicazione 

Sebbene nella formazione e nel perfezionamento delle basi, la struttura della conoscenza si crea immancabilmente attraverso un gioco di codici, dovrebbe necessariamente arrivare il momento in cui la conoscenza viene applicata, il momento in cui si cerca di ricavare Ordine dal Caos, Geometria a partire dalla Confusione.

Simbologia 

La visione di O Sensei del Budo era una visione Mistica, come finalità, ma Geometrica come strumento. Egli parlava sovente di Quadrato, Triangolo e Cerchio per definire le aree di lavoro, riferendosi alla maniera di lavorare l’ Attitudine (Quadrato), Taisabaki (il Cerchio) ed una ricerca dei giusti angoli (Triangolo).

 

Geometrie dell’Aiki

Conoscenza a Ventaglio

Il m° Tissier definisce il passare dalle basi all’applicazione come un lavoro a ventaglio. Il ventaglio aperto rappresenta con ogni asta un principio specifico. Ogni principio si fonde con gli altri alla sua base, come ogni asta del ventaglio è unita alle altre nel fulcro.

Applicare la conoscenza vuol dire essere in grado di chiudere il ventaglio e sovrapporre tutte le aste, convogliando tutti i principi in un unico comune denominatore.

 

Tessen

Triangolo denominatore

La scelta di tale denominatore è assolutamente relativa alla sensibilità di ognuno. Geometricamente parlando il ventaglio riproduce la forma del triangolo, che simboleggia gli angoli d’azione che accomunano, in Aikido, la pratica in Tachi, Hanmihandachi e Suwariwaza e che si ripropongono uguali in Aikido, Aikijo ed Aikiken.

 

Kamae

Il triangolo a più livelli

Se è vero che la forma del triangolo è presente, nella base, sia nel Kamae (Sankaku Tai) che nella scelta degli angoli d’azione (Shikoku), è anche vero che la stessa forma ricorre in un punto dell’azione che non siamo troppo avvezzi a formalizzare, ma che può diventare il fulcro attorno a cui le aste del ventaglio vanno a sovrapporsi: Il te sabaki, il movimento delle braccia.

Dalla base all’applicazione

Se nelle forme Kihon è possibile lavorare con un braccio alla volta, coprendo solo il lato su cui sappiamo che arriverà l’attacco, in applicazione, vale a dire nel Caos, non avrebbe senso lasciare un lato del corpo scoperto ed un braccio in disuso.

Musashi amava dire che non avrebbe avuto senso morire con una katana nel fodero…

Nito ryu di Myamoto Musashi

Applicazione e tempo

Ciò che differenzia base ed applicazione è la differente disposizione dell’aspetto temporale. Nella base partiamo sempre Soggetto dell’azione, nell’applicazione, costretti a comprendere la situazione prima di poter agire, partiamo sempre come Oggetto, mentre il ruolo di Soggetto è tutto da conquistare.

Lavoro su sè

Piuttosto che muovere le braccia distendendole  in un’area che si definisce durante l’azione e che dunque riserva sempre delle sorprese, la strategia proposta è quella di muoversi tra i bersagli ed all’interno della propria figura, poichè sappiamo sempre, attraverso il feedback propiocettivo, come è disposta nello spazio.

 

 Te sabaki con le braccia distese, classico Ikkyo undo di base

Triangolo e difesa contundente

Posizionarsi a triangolo consente tre vantaggi da non sottovalutare. In primis la copertura su due lati. In secondo luogo la possibilità di utilizzare i vertici del triangolo come spigoli dissuasivi ed in terzo luogo conservare tutta l’energia potenziale per distendere le braccia in azioni taglienti.

Posizione del triangolo: evoluzione di Ikkyo undo

Contundenze ed Arti Marziali

L’esperienza maturata in secoli di corpo a corpo, indipendentemente dallo stile, ha portato l’Uomo a sviluppare  un’attenzione particolare alla posizione più che al gesto.

Una posizione contundente si è dimostrata la risposta più dissuasiva ad un attacco violento ed imprevedibile. Varie discipline, nate nei luoghi più remoti e disparati, hanno proposto alternative più o meno simili, pur partendo da strategie molto diverse: in ognuna di esse il Triangolo sembra essere la radice dell’ispirazione.    

 

 Silat Malese, assetto da sfondamento

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Mae Muay, doppia protezione contundente

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Muay Thai, assorbire e distruggere

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Pukulan, Trafiggere ed armare

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Keysi, Scudo contundente

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Krav Maga , Rhino

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Pugilato, Guardia

Il Triangolo e l’Aikido.

Come si colloca il triangolo nella strategia Aikidoistica?

Il focus on è sulle fasi di passaggio da Oggetto a Soggetto.

Esso si compone di quattro fasi ben definite,all’interno delle quali il triangolo rappresenta la punta dell’Iceberg di un’area di lavoro vasta e ricchissima.

Sabaki

Il primo obiettivo è quello di rompere la strategia d’attacco.

Uscire dalla linea, scegliendo un movimento che sia il più naturale possibile e che si sviluppi tutto su angoli morti.

Sollevare le braccia in posizione triangolare permette di creare un evidente asse, che va dal vertice superiore al centro del triangolo, attorno a cui sviluppare lo spostamento.

Il triangolo dunque non rappesenta uno schermo protettivo dietro cui ripararsi, ma una sorta di volante, attraverso cui dirigere l’azione ed in rapporto al quale poterla sviscerare.

Atari

L’ampiezza della figura triangolare mette a disposizione una serie di punti di contatto con cui entrare in connessione con l’attaccante: i vertici, come spigoli contundenti, permettono di rallentare gli attacchi sequenziati, mentre i lati, offrono un radar immediato, attraverso cui prendere informazioni sulla posizione e la qualità dell’attacco utilizzando il tatto piuttosto che la vista.

Kuzushi

Rompere la struttura dell’attacco significa costringere l’attaccante ad occuparsi di sè piuttosto che di noi. In parole povere rappresenta il punto esatto in cui da Oggetto dell’azione è possibile diventarne Soggetto.

Questa azione è ottenibile attraverso tre strategie: Squilibrio, Ribaltamento ed Impatto.

Waza

L’azione finale del processo è la finalizzazione della situazione attraverso un canale di controllo Aiki.

Katame e Nage waza assumono una contingenza evidente, relativa alla sensibilità percettiva ed alla universalità delle forme studiate.

Una delle parti più preziose del lavoro è la chiara definizione di Tecnica, applicabile in maniera assoluta e che non necessita della collaborazione del partner, dall’esercizio formativo, che viene eseguito in due ed è il risultato di due elementi cooperanti.

Didattica

Ognuna di queste fasi va studiata singolarmente, definendone tre aree di lavoro specifiche Propedeutica, in cui si sviluppano le meccaniche corporali che consentono la padronanza della propria coordinazione, Tecnica, che permette la comprensione del gesto più economico ed efficace ed Applicativa , in cui, partendo dal Caos ci si sofferma fase per fase, per poterle interiorizzare e, in un secondo momento, sulla libertà di espressione e creatività.

  

 

  O Sensei: Gassho ed Asami : il Triangolo meditativo ed Armato

 

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B. Gonzalez:Triangolo difensivo

 

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M.Bacrathy: Triangolo in rotazione

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P.Guillemin: Triangolo tagliente

 

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C.Tissier: Proteggere, Sospendere, Minacciare con il Triangolo

Dal Kenjutsu al Taijutsu: Genesi del Triangolo

 

Koji Kamae o Jodan Kamae: Il triangolo è obbligato per caricare e, allo
stesso tempo, poter guardare l’avversario

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Passaggio per Hasso Gaeshi: il triangolo ruota su sé stesso grazie
al movimento di controanca (Hitoemi
)

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Kurai dachi. Posizione classica del Kashima Shinryu, sfrutta la contundenza
dei vertici del triangolo per difendersi ed attaccare contemporaneamente

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 Rispettando gli angoli, le braccia possono sostituirsi al ken

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Triangolo in Tai Jutsu. La mancanza di appoggio per le mani crea un punto debole
per la struttura, per chi non ha uno sviluppo marcato dei muscoli pettorali

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Nel Kenjutsu questo problema viene risolto in “Asami” poggiando la base
delle mani sulla fronte

 

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Triangolo completo

 

                                                               

                                                                                Fabio Branno

 



20 commenti

  1. Massimo wrote:

    Complimenti, un articolo dal quale si intuisce competenza, ricerca, riflessione e studio in un campo , come quello aikidoistico, nel quale si trascinano vecchi modelli e pensieri…ed imitazione pedissequa senza riscontri e pudori. Finalmente il coraggio della verità e della ricerca…del dubbio e del confronto. Davvero non esiste in Italia un contesto come A.R.C.A nel quale si fa veramente e seriamente ricerca e sperimentazione …mi auguro che altri prendano ad esempio.Complimenti Fabio.

  2. Fabio wrote:

    Grazie della stima e dell’incoraggiamento. Stiamo ancora sviluppando nuove idee.
    A presto,
    FB

  3. Rinnovo i complimenti, davvero molto interessante!

  4. Gabriele wrote:

    Ottimo risultato che risponde all’esigenza di fronteggiare più attacchi, rimanendo dentro una logica di Akido.
    Ora viene la parte più difficile e interessante…
    Hai sempre tutto il mio appoggio

    Gabriele

  5. Fabio wrote:

    ancora grazie del sostegno a tutti quanti.
    Stiamo lavorando, con molto entusiasmo, all’integrazione degli angoli morti e dei triangoli (che col tempo vanno moltiplicandosi) nel percorso di base.
    Presto ne avrete notizie.
    Buone feste
    FB

  6. [...] consigliamo un ottimo articolo pubblicato su: Aikido e Dintorni [...]

  7. templare wrote:

    ritengo che per ottenere una pratica più vicina al reale si debba avere attacchi più veritieri che troppo spesso, essendo scomodi, non vengono mai portati nei nostri dojo. occorrerebbe quindi semplicemnte adottare protezioni adeguate come un casco da scherma (basta guardare su youtube: danilo rossi). il triangolo qui citato è l’essenza del kali. è una figura geometrica semplice che gia Pitagora esaltava e studiava. ricordiamoci poi che in una situazione di stress le nostre capacità di utilizzo delle tecniche che padroneggiamo usualmente si riduce ad un misero 5%. è quindi la semplicità la soluzione. e gli ingressi nella guardia avversaria con i cosiddetti atemì sono fondamentali ma spesso non vengono portati per paura di ferire il nostro compagno. da qui la necessità secondo me di avere protezioni opportune. il triangolo va bene ma serve qualcosa in più. prima di tutto l’aikido è un’arte marziale che esige una pratica seria. non è semplice ginnastica. bisogna accettare un attacco sincero che può far male nei limiti cmq del dojo. ma con certe protezioni ciò non può avvenire. scusate e grazie.

  8. FB wrote:

    Interessante commento. Le capacità si riducono al 5%, in situazione di pericolo reale. E’ un dato di fatto: di fronte a questa asserzione viene spontaneo chiedersi quanto sia importante, ai fini dell’efficacia, l’acquisizione dei dettagli tecnici e quanto invece possa essere importante imparare a liberare il proprio istinto.
    Ciò di cui l’aikido difetta, come metodo e nell’area di studio (che nella nostra disciplina è solo facoltativa) dedicata all’applicazione, è un lavoro sotto stress.
    Quello a cui tu ti riferisci, in maniera molto interessante, è uno stress già elevato, a cui si può far fronte solo quando la disciplina ha selezionato didatticamente le azioni probabili da quelle solo “possibili”.
    Lo studio a cui mi sto dedicando è teso ad applicare una sorta di “valvola” per monitorare ed aumentare gradualmente il livello di stress nelle azioni, per poterle selezionare e definire così un’area didattica completa.
    L’intenzione è quella di poter lavorare anche con protezioni ed attacchi più aggressivi senza perdere lo spirito della disciplina.
    grazie e ciao!!
    FB

  9. Complimenti per il tuo video e il tuo impegno nello sviluppo e crescita dell’Aikido.
    Le teorie del “cerchio” o del “triangolo” sono entrambe valide, specie se assimilate entranbe per lo sviluppo del proprio BUDO, senza necessariamente bocciarne una a vantaggio dell’altra.
    Così come la teoria del cerchio dell’Aikido o la teoria del triangolo nelle altre arti marziali, sport marziali o lotte marziali che siano, sono degne del massimo rispetto; naturalmente inquadrate nella logica della propria disciplina.
    A mio parere, l’efficacia di un’arte marziale va ricercata principalmente nella personalità del praticante stesso, sia che questi segua uno schema a triangoli o a cerchi. Un professionista in situazioni reali, riuscirà a destreggiarsi senza riflettere e senza usare schemi predefiniti.
    Io personalmente ammiro il tuo lavoro e lo condivido inquanto nel mio Aikido c’è tanto wing chun insegnatomi da Sifu FIES; arte marziale che sviluppa le sue techiche con movimenti triangolari.
    Il tuo articolo è interessante perchè fa capire che a volte è necessario uscire dagli schemi; solo così un ARTEMARZIALISTA potrà definirsi un artista marziale, ovvero colui che con arte e creatività riesce ad essere MARZIALE ( da Marte dio della guerra). Concetto ormai reso omeopatico da insigni maestri che hanno perso di vista il concetto della “marzialità” .
    Complimenti, come sempre vai alla grande!

  10. france wrote:

    Concordo. Nelle varie applicazione si dovrebbero usare delle protenzioni, questo servirebbe a tutti, chi attacca può farlo con più decisione senza avere la paura di far male al compagno, rispettando i limiti del dojo, chi si difende può averere la percezione fisica di cosa significa ricevere un attacco in modo “molto energico” e cosa succede all’avversario quando si applica la nostra difesa.
    Personalmente ho provato e devo dire che è stato molto istruttivo.
    Ciao e un saluto a tutti.

  11. Mi permetto di osservare che a mio modesto parere, l’uso delle protezioni nella pratica dell’AIKIDO induce il praticante a tecniche più dure e meno fluide, a danno di una crescita tecnica che non rispecchia i parametri del fondatore.
    Per i meno attenti, l’AIKIDO è un’arte marziale, non uno sport marziale o una lotta marziale, ecco perchè non ci sono coppe, (se non per contenere gelati alla fragola) ed allori (molto utili per tisane contro mal di pancia). Se poi abbiamo bisogno di vedere cosa succede con un Aikido reale, basta incontrarsi con i propri allievi (da shodan in su) e divertirsi a suonarsele con le opportune protezioni; dopo di chè trasportare i risultati di questa esperienza, durante una lezione e spiegare a tutti gli allievi cosa può succedere in uno scontro reale, e studiare insieme.
    E’ facile scivolare nella banalità, affinchè ciò non avvenga penso che bisogna seguire una linea didattica che rispecchi il pensiero del fondatore.
    Il m° LONGHEIRA ha fatto un video della serie “sono un duro” come SEAGAL vedetelo pure e poi capirete!
    A mio avviso L’Aikido è come un evidenziatore, se passato su una frase accentua e mette in evidenza il suo significato.
    Un duro, diventerà MOLTO DURO.
    Un idiota, diventerà un GRANDE IDIOTA.
    Non credo che servano guantoni e casco per diventari dei combattenti.
    Il combattente è colui che evita SEMPRE uno scontro, e quando questo sarà necessario.. il suo avversario non avrà il tempo di capire cosa è successo, non servirà un casco perchè il suo colpo non dovrà nemmeno partire. Se qualcuno accende un candelotto di dinamite per lanciartelo addosso.. non bisogna fare altro che soffiare sul suo fiammifero affichè questi non abbia la possibilità di accendere la miccia!!

    Spero che questo mio commento non abbia turbato ed offeso i miei colleghi ed i loro allievi, è stato un modo semplice e sincero per dire loro di non rovinare L’Aikido con tutte queste ricerche di realtà marziale, altrimenti significa che abbiamo PROPRIO sbagliato BUDO e dovremo rivolgerci a qualcosa di più immediato e che ci dia l’illusione della invincibilità.
    Ciao a tutti da Gianni Martucci

  12. bruno wrote:

    NON SI STUDIA AIKIDO PER FARE A BOTTE PER LA STRADA MA PER MIGLIORARE IL PROPRIO SPIRITO,
    LA FORMA ESTETICA DEL WAZA , RICERCANDO L’UNIONE MENTE.CORPO…NELL’EPOCA DELLE ARMI AUTOMATICHE L’AIKIDO NON SERVE .
    IL MAESTRO TSUDA ALLIEVO A SUO TEMPO DI O-SENSEI ,RACCONTA IN UN SUO LIBRO DI UN JUDOKA DI GRADO DAN CHE COINVOLTO IN UNA RISSA APPLICO’ HANEGOSHI AL SUO AGGRESSORE CHE RISPOSE CON UN FENDENTE DI COLTELLO AL FIANCO,IL JUDOKA MORI’…TSUDA OSSERVAVA CHE PARADOSSALMENTE SE LA VITTIMA NON AVESSE PRATIVATO ARTI MARZIALI FORSE SAREBBE SOPRAVVISSUTO E FORSE AVEVA RAGIONE

  13. fb wrote:

    Che il Budo non sia una scuola di autodifesa è cosa risaputa.
    Pochi però ammettono che l’apprendimento meccanico di routines predefinite è solo una parte del percorso attraverso cui educare il corpo, la mente e lo spirito.
    La proposta in esame è proprio quella di cortocircuitare il sapere attraverso la rottura degli schemi classici, trovando il coraggio di sbagliare, anche dopo anni di allenamento, affrontando situazioni in cui le variabili sono tali da costringerci a vivere l’attimo piuttosto che la nostra immagine mentale dell’attimo stesso.
    ciao
    FB

  14. Diego wrote:

    Se posso permettermi di dire la mia, credo che l’aikido ponga realmente un problema a chi lo pratica, con il quale prima o poi bisogna fare i conti. E’ indubbio che l’aikido non è autodifesa e non deve servire a rompere le teste. Però è pur sempre un’arte marziale. Allora ci troviamo di fronte a due possibilità, credo: o l’aikido è una forma di rievocazione storica, tipo la scherma medievale, spendibile magari per lavorare come maestro d’armi in qualche film, ma nulla più, oppure è un’arma a tutti gli effetti e, per quanto antiquata, dovrebbe funzionare, proprio come funzionerebbe una beretta degli anni ’30 – sempre ammesso che uno l’abbia saputa tenere. Altrimenti bisogna ammettere che non pratichiamo un’arte marziale, ma solo una forma di meditazione in movimento. Anche questa è una posizione legittima. Allora, però, diventa inutile discutere su chi fa cosa di fronte ad un uomo armato o anche semplicemente malintenzionato. Siamo disarmati, semplicemente, ed è meglio darsela a gambe. Ma credo che quando O Sensei ha fondato questa disciplina aveva in mente un’arte marziale, tutto sommato, un’arte marziale anacronistica, inattuale, direbbe Nietzsche, assurda, per certi versi, perché pone di fronte a un paradosso: per praticarla in maniera autentica bisognerebbe essere semplicemente un santo. Ed è ovvio, ad esser santi, non c’è bisogno nemmeno di estrarre la spada! E intanto uno che è sulla via della santità, che fa? Possiamo metterci sul tatami a fare le piroette e poi tornare a casa al tramonto perché è un mondo pericoloso là fuori? In conclusione, la domanda che mi permetto di rivolgere a chi ha più competenza di me è: perché facciamo aikido? Per imparare a scappare? Non so, certo è che ogni vero samurai deve saper correre…

  15. Fabio Sacco wrote:

    Salve, mi chiamo Fabio Sacco per chi non mi conosce, è un piacere conoscervi e lasciare un mio commento riguardo all’argomento.Premetto non amo scrivere nei forum, in quanto credo che le troppe domande, i troppi confronti, su quale sia o meno l arte marziale piu efficace al mondo, lasci il tempo che trovi.Io pratico Aikido da quasi 5 anni e ho una piccola esperienza di 11 anni di pratica in altre discipline marziali, il tutto accompagnato da una cultura generica fatta giorno per giorno sia sull’Aikido sia sulle altre discipline.
    Io sono del parere che le arti marziali o gli sports da combattimento o le discipline marziali siano efficaci, se allenate con dedizione ,determinazione e costanza,sicuramente rispetto ad una persona che non ha mai praticato nulla in uno scontro quanto meno riuscirò a schivare qualche attacco tirato con violenza e fare fronte ad un attacco, credo che indipendentemente dai diversi tipi di strategie e sperimentazioni, sull’arte marziale a lla base vi deve essere il modo in cui c si deve porre:abituare ogni giorno uke a non considerarci un amico, ma un nemico da spaccare in due, in quanto sta a me tori abituarmi ad uno stato di allarme, quando il corpo è abituato a stare in allarme, i riflessi partono in automatico es: di mattina passeggio con la mia ragazza per i negozi, sono allenatissimo a fronteggiare un aggressore , ma non immaginado che qualcuno voglia farmi del male, mi becco una “mazzata” dietro la testa, viceversa la situazione cambierebbe se mi trovo di notte a passeggiare in un luogo disabitato e sconosciuto, il corpo e pronto per scattare, perchè siamo preoccupati di cosa potrebbe succedere e magari siamo pronti nei riflessi in quel momento.Io credo che l’unica strategia efficace sia quella di allenarsi duramente, sudare, sperimentare a contatto con uke ciò che il corpo crede di fare in quel momento, partire dal presupposto che non sono invincibile quindi le prenderò e le darò nel caso e sopratutto, abituare i praticanti a non innervosirsi se uke colpisce con tutt la sua potenza, l’abilità sta anche in noi, abituarci al dolore, sopportare e non dire ad uke “vai più piano”, converrete con me che ci prendiamo in giro così, anzi per esperienza credo sia un ottimo allenamento chiedere ad uke di attaccare come , quando e alla velocità che vuole ed io reagire come sento anche a costo di prenderle ripeto, senza usare schemi tradizionali o sperimentazioni innovative,anzi partire dall’idea che non possiamo agire su un’unico attacco perchè saremo in grado di controllore tutto il corpo, perchè nella realtà non e così, uke non si fa controllare e sopratutto il combattimento da strada e fatto a spezzoni, quindi continuare ad allenarci in maniera tradizionale, alternando durante la lezione esercizi ove uke attacchi e noi reagiamo anche al costo di non essere puliti.
    Infine concludo sostenendo che che l’unica risposta che potrete avere riguardo all’efficacia dell’aikido è scendere per strada e chiedere ai malviventi di fare a botte.Non possiamo farci tante pippe mentali,Nel caso in cui verifico che non riesco a fare proprio nulla, allora significa che ce qualcsa in quell’arte marziale che non va nonostante i molti anni di allenamento e quindi coerente con me stesso, decido di appendere il keikogi al muro e provare altro, o decidere di continuare seguendo i canoni ed i principi, che la disciplina mi propone di studiare.L’efficacia sta nella padronanza dei principi, quindi il mio augurio è basta con queste stupide discussioni, più che passare tempo sui forum, cerchiamo solo di allenarci il più e possibile senza chiederci troppe cose, se un giorno ci attaccheranno per strada sapremo se qualcosa di ciò che stiamo studiando funziona o meno,ma fino ad allora non vi ponete troppe domande, perchè renderà troppo insicuri nella pratica e finiremo per padroneggiare tutto e niente.
    L’adattabilità si, ma riferita all’applicazione personale dei principi aikidoistici tradizionali nel momento di un vero scontro in quella determinata situazione, o anche allenata sul tatami ma chiedendo ad uke di fare cio che vuole, ma davvero ciò che vuole ed io esserelibero di fare cio che sento stop.
    E’ stato un onore avere la vostra cortese attenzione mi auguro che il mio ragionamento possa aver dato qualche aiuto.un abbraccio Fabio Sacco

  16. [...] consigliamo di leggere l’ottimo articolo pubblicato su: Aikido e Dintorni [...]

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  18. Carlo wrote:

    In tutti gli stili delle arti marziali, qualsiasi atleta, dovrebbe avere la forza di controllarsi e dominare l’adrenalina che inavvertitamente segue una regola non precisa. In parole, l’autocontrollo deve essere alla base di tutto e, come ricordava qualcuno, FAR MALE E’ FACILE, IL CURARE E’ DIFFICILE.
    Buon lavoro a tutti
    Carlo Diviesti

  19. aldo chiari wrote:

    Ciao, tutto bello tranne la foto di Tony Ja. Lui è un’attore e quella è una posizione coreografica non tecnica. Saluti, Aldo Chiari.

  20. Antonella Lemme wrote:

    Anche se ti scrivo un po’ in ritardo rispetto a quando è stato pubblicato l’articolo, sono pienamente d’accordo con tè che la difesa , l’attacco ed il ribaltamento debbano sempre avvenire all’interno di questo triangolo o lungo i lati di questo triangolo virtuale che sempre dobbiamo immaginare, esistente in ogni nostra azione, sia come uke’ che come torì. Comunque al principio del triangolo si basano anche il karate, il ju-Jitsu ed il kungfu.
    P.S.Complimenti è uno studio ben fatto e molto interessante che mi piacerebbe studiare ed approfondire. Ciao a risentirci sempre su questo sito.
    Antonella Lemme

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