Il canto delle voluttà

Il canto delle voluttà di Patrizia Danzé

Es edizioni, 2008

Non si sa molto della vita di Kitagawa Utamaro, uno dei massimi pittori e stampatori giapponesi e autore delle stampe erotiche pubblicate delle edizioni Es in un bel libro curato da Yoshikazu Hayashi e con postfazione di Kazuhiko Fukuda. Utamaro è nato nel 1753, non si sa se a Tokyo (l’antica Edo), Kyoto o Osaka, forse in un quartiere di piacere, uno di quei quartieri a luci rosse, detti Shimabara, che avevano raggiunto una tale diffusione in Giappone da essere infine legalizzati. Da quando nel 1589 il governo regolamentò gli Shimabara, essi vennero frequentati da nobili di corte, da ricchi mercanti, da guerrieri di alto rango che venivano intrattenuti da cortigiane di eccezionale bellezza ed eleganza educate a dispensare i piaceri d’amore, secondo un rituale erotico complesso in cui l’arte della conversazione, del canto e della musica accompagnava le voluttà dell’alcova.
Sono proprio le cortigiane degli Shimabara, la sensualità dei corpi e i piaceri dell’amore ad essere raffigurati negli ukiyo-e shunga, l’arte erotica xilografica policroma che, a partire dal XVI secolo e nei primi decenni del successivo, raggiunse un fiorente sviluppo in Giappone. In realtà l’arte della shunga era antichissima: importata, come in genere tutta la pittura giapponese dalla Cina dei periodi T’ang e Sung, dal VII al XIII secolo, consisteva nella rappresentazione di soggetti amorosi. La stessa parola shunga, che significa “pitture della primavera”, è carica di una forte componente erotico-mistica, che caratterizza l’idea stessa della primavera in Giappone. E giacché nella terra del Sol Levante gli shunga, più che in Cina, non erano asserviti a rigidi principi religiosi, poterono svilupparsi senza limitazioni moralistiche e dispiegare tutta una serie fantasiosa di modi espressivi, basati essenzialmente sulla bellezza femminile e sull’elevato erotismo del suo corpo. Sin dalla seconda metà del XIII secolo, questa arte millenaria, che durò ininterrottamente dal IX alla fine del XIX secolo, fu formalizzata in un canone che esplicava le caratteristiche distintive dello stile, attento in particolare alla rappresentazione delle parti anatomiche genitali dell’uomo e della donna (soprattutto l’organo maschile aveva dimensioni abnormi), parossisticamente messe in evidenza. Tutto ciò rientrava nel canone shunga, in quanto la rappresentazione della potenza del piacere assumeva una forte valenza esoterico-animistica, giacché nel Giappone antico gli organi sessuali ospitavano il potere del Buddha e la saggezza della dea della pietà Kuan Yin in cui egli si manifestava. C’è tutta una serie di regole sull’estetica shunga stabilite dalla scuola di pittura Kano che testimonia come quest’arte, così nobilitata dai pittori di corte, rientrasse di diritto nelle belle arti e come la rappresentazione di scene erotiche fosse, artisticamente parlando, sullo stesso piano delle scene di paesaggi e di ambiente tipiche delle ukuyo-e e cioè delle “immagini del mondo”.  Fu proprio quando lo stile  ukuyo-e, sposandosi alla tecnica xilografica (in uso in Giappone sin dal 743 per disegnare le stoffe delle vesti degli aristocratici) conquistò con i suoi contenuti sensuali il favore della borghesia emergente, che i termini shunga e ukuyo-e vennero spesso usati come sinonimi e che la stampa erotica giapponese, divenuta intanto più popolare,  visse un lungo periodo di straordinaria fioritura “legando” tra loro arti espressivamente diverse come la pittura e la letteratura, giacché servivano non solo ad abbellire opere letterarie, ma divennero essi stessi veri e propri libretti dalla caratteristica copertina gialla, in cui gli enpon, cioè libri di racconti erotici, venivano illustrati dalle shunga. Kitagawa Utamaro è uno dei rappresentanti più noti dell’età d’oro dello shunga ukuyo-e. Raffinato illustratore di libri (le sue stampe erano solitamente monocrome), divenne presto famoso pure all’estero principalmente per i suoi studi di donne, chiamati bijin-ga, anche se  nel 1804, al culmine del suo successo, ebbe dei problemi con la giustizia per aver pubblicato delle stampe su un romanzo storico censurato.  Poi, con l’apertura del Giappone all’Occidente e con la cosiddetta “rivoluzione imperiale” che nel 1868 soppresse le caste e lo shögunato avviando il Giappone verso la modernizzazione, le shunga ukuyo-e, che avevano suscitato l’interesse di artisti come Manet, Degas, Van Gogh e di letterati come Goncourt e Huysmans, furono messe al bando nel 1873, diventando peraltro oggetto ricercatissimo da collezionisti europei e americani. Le opere di Utamaro, delle quali solo una trentina, su una produzione di circa 2000 pezzi, sono arrivate fino a noi, sono state esposte, tra gli altri, al British Museum e nei musei di Boston e di Philadelphia.



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