Bioenergetica

“La Bioenergetica è un modo di comprendere la personalità nei termini dei suoi processi energetici. Questi processi, cioè la produzione di energia attraverso la respirazione, il metabolismo e la scarica di energia nel movimento sono le funzioni basilari della vita Il lavoro bioenergetico riconduce la persona agli elementi fondamentali della vita: alla respirazione, al movimento, al sentire, all’espressione”
Elaborata da Alexander Lowen, psicoanalista allievo di Wilhelm Reich, negli anni ’50, la Bioenergetica è un approccio terapeutico che integra le concezioni orientali ed occidentali; si serve del potere della mente per capire le tensioni che legano il corpo e per eliminarle attiva anche l’energia corporea. Il trait d’union fra le due concezioni è il concetto di Energia, che pervade sia il pensiero occidentale che quello orientale. L’energia è la forza su cui poggia lo spirito ed è quindi la base della spiritualità del corpo. Usata consciamente diventa forza. Senza rinnegare l’importanza del linguaggio verbale e dell’esperienza passata, viene messo l’accento soprattutto sul linguaggio corporeo, sull’espressione e la sperimentazione nel presente delle emozioni spesso soffocate e rimosse.

Bioenergetica: che cos’è e come può aiutarci a vivere meglio
L’uomo occidentale, per molti secoli, è stato culturalmente indotto a sentirsi diviso in due: da una parte l’anima, dall’altra il corpo. L’anima era la parte nobile, dimora del pensiero, della volontà, dei sentimenti e della memoria. Il corpo era invece la parte da nascondere, sede di pulsioni animalesche e infimi bisogni terreni. Non è stato così in Oriente, dove filosofie e pratiche antichissime insegnano a ritrovare la pace dello spirito attraverso esercizi di respirazione e speciali posizioni corporee. Curiosamente, l’occidente sta riscoprendo ora, con qualche centinaio d’anni di ritardo, che l’anima e il corpo non sono due entità separate: lo ammette la scienza medica, per esempio quando ipotizza che lo stress predisponga al tumore e che la felicità aumenti le difese immunitarie dell’organismo; e lo sostiene, ormai da qualche decennio, l’analisi bioenergetica.

Emozioni imprigionate nei muscoli
Sviluppata a partire dagli anni Sessanta dal medico e psicoterapeuta americano Alexander Lowen (e ufficialmente riconosciuta come disciplina terapeutica dal ministero dell’Università e della Ricerca scientifica italiano), l’analisi bioenergetica si fonda sul presupposto che il corpo e la mente siano funzionalmente identici: quel che accade nella mente, cioè, riflette quel che accade nel corpo, e viceversa.In altre parole: ognuno di noi, nel corso della vita, imprime nel proprio corpo, oltre che nella propria mente, le emozioni e i pensieri che lo attraversano in risposta agli stimoli del mondo esterno. Gli stimoli lievi lasciano segni passeggeri, ma gli eventi traumatici lasciano tracce che non si cancellano facilmente. Come sappiamo, la mente può allontanarne il ricordo, rimuovendolo, seppellendolo nell’inconscio. Il corpo, invece, non dimentica.

Un’armatura che blocca l’energia
La memoria di questi eventi si iscrive nel corpo sotto forma di quelle che in bioenergetica si chiamano “armature caratteriali”. Le armature caratteriali non sono altro che contrazioni muscolari: dove c’è tensione, infatti, non scorre energia, e dove non scorre energia noi non percepiamo né il nostro corpo né i sentimenti che lo animano. Ognuno di noi, quindi, nel corso della sua vita, si è modellato una propria armatura in funzione dei sentimenti e delle emozioni, come il dolore, la paura e la rabbia, con i quali non è stato in grado di convivere: per non sentirli pulsare, li ha intrappolati in una contrazione. Il problema è che queste armature rimangono iscritte nel nostro corpo anche quando non sarebbero più necessarie, quando cioè gli eventi che le hanno rese indispensabili per il nostro benessere sono ormai lontani.  Come se non bastasse, a queste contrazioni croniche sovrapponiamo ogni giorno una serie di piccole e grandi contrazioni temporanee, generate da svariati tipi di stress: dai più gravi, come i lutti, ai più lievi, come una lite con un collega.  L’energia imprigionata nelle tensioni del nostro corpo produce due effetti collaterali: il primo è che genera stress, anzi è già essa stessa stress (questo termine inglese significa infatti tensione). Il secondo è che ognuna di queste tensioni è un “buco” nella nostra capacità di sentire il nostro corpo, quindi di percepire noi stessi. Nella contrazione, infatti, rimane racchiusa l’energia dell’emozione “pericolosa” che ci siamo negati; di conseguenza, non solo non siamo più in grado di agirla (piangendo, urlando, ridendo, pestando i piedi), ma non siamo neppure più capaci di sentirla: non sappiamo se siamo tristi o arrabbiati, bisognosi di affetto o umiliati. Non sappiamo chi siamo.

Contro lo stress ci sono anche le “classi di esercizi”
L’analisi bioenergetica, a differenza di altre psicoterapie, non si basa esclusivamente sul linguaggio verbale, ma prevede anche una serie di esercizi fisici volti a sciogliere le tensioni muscolari che imprigionano il paziente nella sua armatura. Accanto all’analisi individuale ci sono poi le cosiddette classi di esercizi, meno impegnative di una terapia, ma molto efficaci per consentire alle persone di entrare in contatto con le tensioni del loro corpo e dissolverle. Esse sono sequenze di esercizi che si eseguono in gruppo sotto la guida di un esperto. Aiutando le persone a liberarsi dalle loro contrazioni muscolari, le classi sono innanzitutto uno strumento contro lo stress. Ma il loro effetto non si ferma qui: stimolando le persone ad ascoltarsi, a ricongiungersi con le loro parti “dimenticate” e ad accettarle, possono infatti trasformarsi, con il tempo, in un delicato percorso di ri-evoluzione personale. Le classi di esercizi non sono gruppi terapeutici: infatti, anche se gli esercizi hanno spesso una grande risonanza emotiva, nelle classi non è previsto un momento di rielaborazione analitica con il conduttore.
Ovviamente i partecipanti non sono abbandonati a se stessi: il conduttore che propone gli esercizi è lì proprio per vigilare sui processi in atto e per garantire il suo sostegno alle persone eventualmente in preda a emozioni che da sole non riescono ad arginare.

Contrazione, espansione e rilassamento
Ogni classe (che dura un’ora e mezzo circa, ha cadenza settimanale e coinvolge il media dieci – dodici persone) consiste in una sequenza di esercizi, che si sviluppano secondo un ciclo di contrazione ed espansione.  Nella fase di contrazione i muscoli su cui si lavora vengono opportunamente sottoposti a tensione: ed ecco che, sovrapponendo una tensione volontaria ad una tensione involontaria (preesistente), il corpo viene stimolato a reagire, rilasciando (tramite vibrazioni e altri movimenti spontanei) lo stress contenuto in quell’area. Dopo la scarica, l’energia intrappolata nei muscoli contratti riprende a circolare, e le persone possono rientrare in contatto con quelle parti di sé che si erano chiuse alla loro percezione. Questo rimette insieme i frammenti del proprio corpo, attraverso il fluire unificante dell’energia, è vissuto dai partecipanti alle classi come un senso di benessere diffuso: è il rilassamento. Scarica e rilassamento coincidono con il momento dell’espansione.

Vivere fino in fondo le proprie potenzialità
Rilassamento e benessere, tuttavia, non sono che la conseguenza più immediata, e più immediatamente percepibile, di una classe di esercizi, ciò che ne fa un ottimo strumento anti – stress. Frequentare le classi significa anche ricevere dal proprio corpo una serie di informazioni su di sé, e di sperimentare emozioni capaci di provocare un cambiamento nel proprio modo di porsi nel mondo. Infatti nessuna contrazione muscolare è “neutra” dal punto di vista psicologico: non lo sono le contrazioni croniche e neppure le contrazioni passeggere, perché in ognuna di esse è trattenuta la memoria segreta dell’emozione che l’ha generata. Se per esempio veniamo aggrediti dal nostro capoufficio e per vari motivi non siamo in grado né di difenderci né di mostrare la nostra rabbia, con ogni probabilità alla fine della giornata avremo collo e spalle contratti, perché in quell’area si trovano diversi muscoli che presiedono ai movimenti di auto – assertività e aggressività che non ci siamo concessi. Contraendoli, non solo abbiamo inibito l’azione “proibita”, ma ci siamo anche impediti di sentire l’umiliazione e la rabbia sottostanti. La nostra azione “cautelativa” ha dato dunque un doppio risultato negativo: ci ha fatto contrarre alcuni muscoli e ci ha resi inconsapevoli di alcune nostre emozioni. Nel momento in cui rilasciamo la zona contratta, le emozioni e i sentimenti che avevano generato la contrazione, ed erano rimasti prigionieri in essa, riemergono alla nostra coscienza. Riappropriarsi delle proprie emozioni significa darsi l’opportunità di vivere nel pieno delle proprie potenzialità, come individui interi e vibranti, invece che come persone parziali, costrette a recitare sempre lo stesso ruolo.

Obiettivo è l’autoregolazione
Si potrebbe obiettare che, poiché la nostra manovra di contrazione era volta proprio a proteggerci dall’emergere di quelle emozioni, il loro riaffiorare alla consapevolezza potrebbe riportarci al punto di partenza, innescando un nuovo identico meccanismo di tensione e difesa. Ma non è così, perché l’ambiente di una classe di esercizi non è l’ambiente di lavoro, bensì un luogo protetto e sicuro, dove il conduttore accoglie le nostre emozioni e ci dà il sostegno necessario perché le accettiamo noi stessi. Il che non significa che il conduttore inciti le persone a farsi travolgere dalle loro emozioni. Al contrario, in una classe di esercizi i partecipanti imparano a creare, proprio con l’energia e la consapevolezza di cui rientrano via via in possesso, una struttura di autocontenimento e autoregolazione: una struttura psicofisica, un Io forte, che consente loro di lasciarsi andare, di arrendersi ai propri sentimenti e alle proprie emozioni, senza paura di esserne sopraffatti. Entrare in contatto con le proprie emozioni, darsi la possibilità di sentirle e agirle è infatti molto diverso che esserne travolti. Per tornare all’esempio del capoufficio, possiamo immaginare tre tipi diversi di reazione. Nella prima siamo arrabbiati ma non lo sappiamo: contraiamo le spalle per non sentire la rabbia. Nel secondo caso prendiamo una sedia e la rompiamo in testa al capo: siamo arrabbiati e lo sappiamo, ma non abbiamo nessun controllo sulla nostra rabbia. Nel terzo caso siamo arrabbiati, lo sappiamo, ma ci difendiamo senza eccedere dando alla nostra rabbia e alla nostra reazione la forma e il contenuto più efficaci. Le classi di esercizi lavorano proprio in quest’ultima direzione.

Monique Mizrahil



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