Aikido e contrazione

In un certo senso l’aikido può essere considerato un mezzo che, per necessità tecnica, ci stimola a sviluppare la respirazione addominale senza la quale è impossibile la visualizzazione. Perché la respirazione possa trasmettersi dal ventre al braccio per poi dirigersi, attraverso la punta delle dita, verso il cerchio immaginario, è indispensabile che tutto il corpo, e particolarmente le spalle, sia ben decontratto. Ricordiamo I’ immagine del tubo che lascia il passaggio libero al liquido, al gas o all’aria, se non è schiacciato o otturato in qualche punto. È inevitabile che i principianti contraggano  involontariamente la spalla non appena viene loro afferrato il polso. Lo si nota perché la spalla si alza. Però lo nota chi è spettatore, non il protagonista-principiante, che non può certo vedere se stesso dalla necessaria distanza. La contrazione delle spalle dipende da fattori fisici e psichici e non si ritrova soltanto nell’aikido, ma anche nella vita quotidiana. I Francesi alzano le spalle davanti a un problema che li imbarazza, ma le riabbassano rapidamente per non farsi cogliere in fragrante. A volte però non è possibile riabbassarle: a dispetto dei nostri sforzi esse rifiutano di decontrarsi. In giapponese si dice che si è agatta, ossia alzati. Il ki è alzato, senza speranza di ritorno. Il direttore generale di una grande compagnia giapponese fu invitato a tenere un discorso, davanti alla cinepresa, in occasione dell’inaugurazione di una stazione televisiva. Noguchi gli disse: « Se dovesse sentirsi le spalle rigide, le contragga di più e le rilassi poi con un colpo solo, espirando ». L ‘altro gli rispose: « Maestro, io ho settant’anni, non sono un bambino. Conosco la vita. Come vuole che sia agatta davanti alla macchina da presa? sarebbe ridicolo ». « Come preferisce », ribatte Noguchi. Venuto il giorno, l’uomo. si trovò davanti alla macchina da presa, sotto le luci abbaglianti, in ripresa diretta. Lo speaker gli fece segno di parlare. Con suo stupore dalla bocca non gli usciva alcun suono. È preso dal panico, bagnato di sudore, il cuore gli batte velocemente, è completamente bloccato. Preferirebbe morire piuttosto che restare davanti a quella macchina da presa. Ma tutt’a un tratto si ricorda di quello che gli aveva detto Noguchi. Esegue quel movimento e comincia a parlare. Dopo la trasmissione i colleghi si congratularono con lui. « Soprattutto quel tuo gesto! E’ stato formidabile, magnifico! Lui pensava: « Se sapessero che cosa provavo in quell’istante…». Parlare di decontrazione quando si parla di aikido sconcerta molte persone che, già piuttosto contratte in partenza, per sentirsi bene hanno bisogno di contrarsi ancora di più. Cercano sempre un gran dispendio di energie fisiche. Il mio aikido è chiamato aikido dolce. C’è gente a cui piace, altri preferiscono l’aikido duro. Ho sentito fare alcuni apprezzamenti: « Il vero aikido è quello duro ».Lo diceva uno che si è ritrovato con il polso rotto e bloccato per un mese. Ognuno ha i suoi gusti. Io mi fermo se sento che l’avversario è troppo rigido per poter cadere senza farsi male. So accomodare i polsi e anche le costole rotte, e questo perché ho rispetto per l’organismo vivente. Dunque evito di procurare rotture, ma se qualcuno le preferisce troverà sicuramente insegnanti esperti anche in questo. Una ragazza che viene da me ha detto alla madre di essere stata promossa a un esame che faceva parte del suo piano di studi proprio grazie all’aikido. Questo mi ha fatto piacere perché significa che la capacità di concentrazione della giovane è aumentata considerevolmente anche nel campo intellettuale. Qualcuno forse immagina Ueshiba come un uomo d’acciaio, ma io ho avuto di lui l’impressione esattamente opposta. Era un uomo sereno, capace di una concentrazione straordinaria, dalla risata sonora, con un incredibile senso dell’ humour. Ho avuto occasione di toccare i suoi bicipiti e ne sono rimasto stupito: erano quelli di un neonato. Proprio l’opposto della durezza. Sembrerà strano, ma il suo aikido ideale era quello delle ragazze. Per la loro costituzione fisica, le giovani non sono capaci di contrarre le spalle quanto i giovani e perciò il loro aikido è più scorrevole e naturale. Le donne però spariscono quando si sposano, mentre gli uomini continuano a  frequentare. Ueshiba era esattamente l’opposto dell’idea che gli occidentali si fanno di un atleta: spalle larghe, grossi bicipiti. lncontrandolo per strada, lo si sarebbe detto un vecchio qualunque, al contrario di chi pratica il Sumo o il catch che può imporsi con la sua, figura massiccia. Ueshiba era decontratto e naturale, soprattutto durante il combattimento Non faceva alcuno sforzo: questo suo atteggiamento penetrava nel mio inconscio come le gocce di pioggia in un suolo arido, ma rendeva ancora più scettici gli spettatori che già nutrivano riserve in merito.Da dove proveniva la forza sovrumana che gli si attribuiva? Non gli ho mai visto fare il minimo esercizio muscolare. Spesso gli ho sentito invece recitare i norito, che sono invocazioni shinto agli dei. S’inchinava rispettosamente e, davanti all’altare, stava in ginocchio, seduto sui talloni, in una corretta posizione giapponese. Scriveva con un pennello, tutto avvolto in un’atmosfera serena e dinamica che non aveva certo niente a che vedere con quella che circonda uno sportivo o un lottatore.  Ki wa chikara no daiò. Il ki è il grande sovrano delle forze, ripeteva Ueshiba. La sua forza, infatti, non era una forza, era il ki, quest’eccezionale potenza che si libera dall’inconscio in caso di pericolo e che esiste virtualmente in tutti gli uomini. Perché non possiamo liberarla come vogliamo? Supponiamo che sia un irresponsabile a possedere quest’ energia e che la utilizzi a suo capriccio. Farebbe danni incalcolabili. Supponiamo che parli alla moglie e che  lei non gli risponda immediatamente: l’uomo si arrabbia e le assesta un colpo che la uccide. Ecco che lui la vorrebbe fare risuscitare, eccetera.Il nostro cervello esercita una funzione inibitrice perché questo genere di fantasie non si traducano in realtà. Ci si accontenta di qualche battuta spiritosa o di proteste dalle quali ci si può difendere senza danni fisici. Possiamo liberare una potenza come quella, man mano che purifichiamo il nostro pensiero e che tutto il nostro essere, fino al livello più inconscio, consente all’azione che compiamo. Lo sviluppo dei dispositivi nucleari ci ha messo nella posizione dell’incosciente di cui abbiamo parlato prima, che ha a disposizione una potenza illimitata senza avere purificato il pensiero. È sufficiente un errore tecnico o lo sbandamento di un gruppo di persone al potere perché si scateni l’apocalisse universale. La funzione inibitrice del cervello può essere sospesa accidentalmente sia in caso di pericolo (quando non si ha il tempo di riflettere), sia nel caso patologico dei drogati. Una donna morfinomane, alla quale manchi la droga, può esplicare una forza tale da essere fronteggiata solo da cinque o sei poliziotti Il caso contrario si verifica quando la funzione inibitrice é cosi forte  da immobilizzare impedendo ogni azione. Nelle grandi città si verificano sempre più spesso casi in cui un pugno di audaci s’impone a una folla. La pratica dell’aikido, dunque, non consiste solo in una serie di esercizi fisici. Implica un lavoro psicologico e filosofico che permette di agire sul nostro spirito (al contrario della teoria behaviorista: astenersi) e di trattare con la funzione inibitrice del cervello per poter spostare il limite dèlle nostre possibilità. Nell’aikido, la decontrazione non è una semplice assenza forza fisica. È invece una condizione necessaria per permettere il passaggio del ki. Nel linguaggio comune la decontrazione si associa al rilassamento, all’immagine di qualcuno che si sta riposando, che non pensa a nulla di particolare: nell’aikido, invece, si associa alla concentrazione, all’immagine di qualcuno che si dà interamente alla realizzazione di un atto visualizzato. L’idea che la decontrazione sia necessaria per il compimento di un atto può sembrare molto strana, Se, mentre si fa un lavoro, si è decontratti, si rischia di passare per fannulloni, Si fa dunque il possibile per dimostrarsi il più contratti e quindi il più seri possibile quando ci si accorge che un superiore ci osserva. Eppure ognuno di noi ha, in questo senso, esperienze di vita paradossali. A volte quello che intraprendiamo progredisce con una facilità sconcertante. In altri casi ci diamo un gran da fare e ci impegoliamo in difficoltà sempre più gravi. Non sappiamo farcene una ragione, ma già in precedenza sappiamo se la cosa andrà o no. Ecco quello che io chiamo concentrazione. Non si tratta di concentrazione intellettuale, del tipo « ricerche scientifiche su questo o quell’argomento ». Si tratta di concentrazione inconscia che prepara il corpo e il suo movimento, che coinvolge in una certa direzione tutto il terreno psichico e fisico. Nell’aikido, la concentrazione si rivela nella posizione e nello spostamento del corpo. Ed è qui che ho potuto fare una constatazione dolorosa: l’ Europeo ha perso il senso del corpo. Questa è, a mio parere, una delle conseguenze dell’alto grado di verbalizzazione tipico delle società europee. Si conferisce alle parole un’importanza primordiale a danno di ogni altro tipo di attività. In effetti le parole comportano conseguenze più o meno compromettenti nel campo amministrativo, in quello giuridico e sociale, se non ci si sta attenti. Il corpo, soprattutto nella sua parte inferiore, le anche o il koshi, diventa rigido. Marcel Mauss ci parla di questo fatto in un articolo probabilmente anteriore al 1934, intitolato: « Tecniche del corpo »! Il bambino si accovaccia normalmente. Noi non sappiamo più accovacciarci. A mio avviso,è un’ assurdità e una inferiorità delle nostre razze, civiltà e società. Mauss cita un’esperienza vissuta al fronte durante la prima guerra mondiale. Gli Australiani (bianchi) con cui si trovava, potevano riposarsi sui talloni durante le soste, mentre lui doveva restare in piedi. La posizione accovacciata è, a mio parere, una posizione interessante che un bambino dev’essere libero di prendere. Il più grande errore è quello d’impedirgliela. Tutta l’umanità l’ha mantenuta, eccetto le nostre società. La posizione accovacciata  presuppone l’agilità delle anche. Proprio facendo l’aikido io constato l’enorme differenza che c’è tra Giapponesi ed Europei. Il Giapponese, che è intellettualmente e linguisticamente meno strutturato, imita semplicemente quanto gli si fa vedere, l’Europeo osserva, prende nota, riempie un dossier e ci mette un’etichetta. Se però deve eseguire un movimento, riuscirà difficilmente a coordinare tutto. Se sta attento alla mano destra, dimentica la sinistra. Quanto ai piedi, non sa neppure dove siano. Un simile atteggiamento mentale non facilita la pratica dell’aikido: invece di avere due elementi, A e B, con B che deve semplicemente imitare A, interviene un terzo elemento C, che può chiamarsi intelletto o struttura: si forma così una deviazione che complica la situazione.  Come fare per sospendere il funzionamento di quella « piccola macchina » che lavora continuamente nell’Europeo, per lo meno durante la pratica dell’aikido? Una volta il maestro Awa, del tiro con l’arco, espulse Eugen Herrigel per una piccola speculazione intellettuale che quest’ultimo aveva voluto introdurre nell’pratica. Herrigel dovette fare onorevole ammenda per essere di nuovo accettato.

tratto da “La scuola della respirazione”
di Itsuo Tsuda
Sugarco Editore



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