Manga e shunga: la spontaneità dell’erotismo

I manga, come ognuno sa, sono tra i generi di letteratura popolare più diffusi in Giappone. I manga erotici sono un’articolazione della cultura manga ma sbaglierebbe chi li ritenesse assimilabili tout-court alla stampa pornografica I manga erotici sono infatti un genere che rivendica intera la propria dignità e che vanta tradizioni illustri; più che illustri se è vero che Utamaro e Hokusai, vale a dire i massimi artisti giapponesi, vantano una produzione ragguardevole di shunga, le eroticissime stampe della primavera. All’Interno della tradizione dell’ukiyo-e (la xilografia popolare che racconta, con tecnica raffinatissima, le storie della citta, delle geishe, dei samurai, degli attori del teatro kabuki) gli shunga occupano una posizione ragguardevole e si collegano, in maniera precisa, da una parte ai miti priapici ancestrali delle origini contadine e dall’altra all’affermazione di una borghesia cittadina commerciale intorno alla metà del diciassettesimo secolo. Gli shunga ebbero, in quella società e in quel tempo, un ruolo eminentemente simbolico. Attraverso la narrazione di storie in cui l’Atto sessuale fosse struttura portante si esorcizza la morte e si ricorda come il sesso sia l’origine stessa della vita cosmica. In questo simbolismo accentuato troviamo la prima differenza con l’erotismo occidentale che ha sempre visto nell’attività sessuale una infrazione alle regole della morale comune e quindi una trasgressione peccaminosa di cui vergognarsi e affrancarsi, ma forse proprio per questo tanto più pruriginosa e allettante. Per lo shintoismo la sessualità non è un peccato e non deve, di conseguenza, essere repressa. Gli shunga si limitano quindi ad essere una narrazione letteraria con una forte connotazione vitale e simbolica. Abbiamo detto di Utamaro e Hokusai ma tutti i grandi maestri xilografi giapponesi si dedicarono attivamente e con continuità alla produzione degli shunga. Libri illustrati, tavole sparse, manifesti per attività teatrali. Le gesta erotiche dei samurai, delle geishe e dei monaci riempirono di immagini per tre secoli la città di Edo. Una fioritura che dura ininterrotta fino agli inizi del secolo ventesimo quando l’Imitazione degli stereotipi occidentali ne decretè una rapida decadenza. Nel contesto storico e sociale accennato appare scarsamente motivata e giustificabile anche l’ondata moralistica che porta alla legge contro l’oscenità e quindi alla censura generalizzata degli shunga (che non sono attualmente visibili in Giappone, neppure nelle opere dei maestri sommi!) e, successivamente all’autocensura negli attuali manga erotici. La proibizione a rappresentare graficamente organi genitali è decaduta nel 1993, ma gli autori di manga trovano ancor oggi più stimolante attenersi ad una sorta di autoregolamentazione. Per i mangaka è divenuta quindi una consuetudine nascondere le parti anatomiche più scabrose. Liberi di rappresentare qualsiasi atto sessuale i disegnatori nipponici si prodigano nel costruire complesse vignette in cui è la posizione stessa dei personaggi che, pur esplicita nel mostrare l’Atto, non consente di vedere gli organi incriminati. Continuità evidente, dunque, tra i maestri ‘storici’ dello shunga e i cartoonist ‘attuali’ dei manga. Grafica popolarissima in entrambi i casi. Se la loro straordinaria diffusione (se ne calcola una produzione annua di parecchi milioni di copie) non è indice sicuro di qualità è comunque indizio di un atteggiamento culturale e di un’attenzione diversi. Liquidarli sbrigativamente come bassa pornografia, senza capire le radici della loro popolarità e le ragioni della diffusione, sarebbe di certo ingeneroso e sbagliato.

Marco Fagioli, Stampe erotiche giapponesi, La Piccola Biblioteca Illustrata, 2004
Kinshi, censure giapponesi, a cura di Silvio Andrei, Libreria dell’Immagine, 1992
BOLOGNA: Nipponica 2005



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