Arti marziali e bambini
Vi è la tendenza a considerare i bambini come “adulti in formazione”, come coloro che apprendono, che devono essere socializzati: vi sarebbe invece la necessità di cominciare a pensare ai bambini come attori sociali all’interno di una serie di istituzioni, con un ruolo attivo nel dare forma alle loro esperienze quotidiane. Osservare i terreni di interazione dei bambini (ad esempio una palestra, un corso di una disciplina marziale), implica un esame accurato della divisione “adulto” -”bambino”, divisione creata socialmente, storicamente variabile, dietro la quale si nascondono notevoli differenze di età e capacità. Occorre partire dall’idea che l’insieme dei sentimenti e delle azioni che i bambini esprimono su un terreno di gioco o di pratica sportiva, è qualcosa di estremamente complesso e che le loro esperienze andrebbero considerate ugualmente serie e complete come quelle degli adulti.
Senza potere in questa sede entrare in profondità nel merito, cosa che presuporrebbe un patrimonio di esperienze da scambiare e di tappe successive di approfondimento, ma proponendo di indirizzare una ricerca vogliamo proporre una serie di considerazioni a nostro avviso utili per il lavoro di formazione insegnanti.
Le forme di fisicità dei bambini
Colpisce, osservandoli, il loro muoversi veloci e l’alto livello di energia messo in campo. La dimensione affollata degli spazi in cui i bambini trascorrono la maggior parte del tempo, la scuola, tende ad essere riprodotta in palestra al di là del numero di bambini presenti. E’ interessante a questo proposito vedere come l’abitudine a muoversi in ambienti affollati che intensificano il senso di caos porti i bambini a concepire spazi fitti di corpi in movimento. Anche pochi bambini cercano una vicinanza di spazio tale da creare nella interpretazione di un adulto un senso di soffocante caos. Se il momento della crescita è un processo in cui regnano le possibilità immaginative e del corpo come dobbiamo comportarci in un Iuogo dove le potenzialità sono indubbiamente presenti nello spazio offerto dalla pratica? La scuola è concepita come uno spazio in cui viene massimizzato il controllo sugli studenti: la costante preoccupazione adulta consiste nella repressione del rumore e nel mantenimento dell’ordine. E’ giusto riproporre al di fuori, di essa uno spazio dello stesso tipo? A questo proposito vorremmo far notare come una situazione di caos non sia estranea al concetto di arte marziale, si sottolinea sovente come queste discipline sviluppino quella che viene definita la visione laterale, banalizzando la capacità di cogliere ciò che sta ai margini del campo visivo educata dalla contemporanea presenza di stimoli non direttamente collegati al partner con cui si sta lavorando. Nell’Aikido la preoccupazione di non cadere su altre persone, e la preoccupazione di non essere investiti da un compagno e parte attiva della disciplina. E ancora la marzialità stessa è di fatto caos. Da questo punto di vista un bambino gia si destreggia in mezzo ai propri compagni il fatto che manchi un ordine turba gli insegnanti ma riflettendoci questo non può essere un dato in se negativo. Nonostante questo vi è la tendenza alla continua regolamentazione da parte degli adulti dello spazio e dei tempi dei ragazzi. Non con vena polemica vorremmo sottolineare che il momento agonistico con una propria specificità di spazio, di tempo e di regole si allontana da una libera espressione dei bambini, soprattutto se a loro viene chiesto di portare kata formali senza che vi sia spazio alla creatività individuale, cosa per altro che potrebbe valere anche per gli adulti visto che in qualche modo è stata teorizzata nella esistenza di due modalità per i kata modello di riferimento e apprendistato, elaborazione e modello tecnico personalizzato (C. Miyagi -Goju ryu citato in “Storia del karate ” K. Tokitsu pag 108 e precedenti). Tornando ai bambini c’e il problema di come porsi nei loro confronti: la necessità di essere al loro fianco piuttosto che al di sopra di loro. Partendo dalla disciplina che meglio conosciamo I’aikido non si può non notare che questa offre varie potenzialità a partire da alcune specificità. La mancanza di competizione intesa in senso di gara …Maggiori possibilità di apprendere dai bambini.
Separazione attraverso il genere e l’età
La letteratura sulla separazione di genere tra i bambini, testimonia come dove ai bambini dai tre anni in su, viene data la possibilità di scegliere i propri compagni della propria età, le ragazze mostrano preferenza a stare con le ragazze e i ragazzi con i ragazzi.
Sport : ambito in cui le attività tendono a venire separate in base al genere (calcio, basket =attività di preferenza maschili- ginnastica, corde, pallavolo = attività. di preferenza femminili). Tali divisioni vengono continuamente riprodotte nei cortili delle scuole ecc. Separazione di genere tende ad aumentare con l’età, con una punta massima nella prima adolescenza (maggiore separazione nei contesti di coetanei che in quelli mescolati per età). Non è una separazione “naturale…
Se si è d’accordo sul fatto che di separazione non naturale si tratta ma di operazione culturale e se sopratutto condividiamo l’idea che sia possibile avviare esperienze in cui la separazione di genere non sia indotta le arti marziali nessuna esclusa possono svolgere un, ruolo altamente educativo ed occasione di lavoro. La Domanda di partenza deve essere se le Arti Marziali tendono ad accrescere o comunque riconfermare la separazione tra generi?
Alcune cose possono farlo pensare -preferite da un pubblico maschile
-associate all’idea di forza e aggressività
-insegnate prevalentemente da uomini {figura del “maestro” è comunque sempre maschile)
-importanza del tenere conto degli stereotipi diffusi da cinema, TV, libri e che ricorrono spesso nelle aspettative dei ragazzi che si avvicinano a tali pratiche. Ma nella esperienza pratica le cose possono essere diverse certo che un lavoro probabilmente originale deve svolgersi. L’idea contiene un elemento tradizionale ovvero far più leva sugli aspetti di Budo piuttosto che di Sport tout court. Sappiamo di essere provocatori in ciò ma questo non vuole dire rifiutare l’idea della competizione per quelle discipline che si sono affermate attraverso queste,ma se nel budo non si può scegliere l’avversario forse è legittimo pensare che femmine e maschi possano gareggiare insieme, fatte salve le categorie di peso nel judo non vediamo un problema in ciò tanto più che probabilmente all’interno delle loro palestre ragazzi e ragazze già i trovano a combattere tra loro. Si provi a pensare cosa significa ciò ovvero quando si fa per gioco maschi e femmine possono lavorare insieme quando c’è la gara (e si fa sul serio) si separano i sessi. Il discorso di protezione di un sesso nei confronti dell’altro rischia di essere fondamentalmente ipocrita. Nell’Aikido si sviluppa la possibilità di lavorare insieme -uomini e donne, con- capacità fisiche differenti, perché non farlo anche con i bambini abituandoli all’idea che ci si possa relazionare con altri, diversi da noi per altezza, potenza, sesso, insegnando quindi loro la possibilità ad es. di saper calibrare la propria forza? Il genere è una costruzione sociale: i bambini, come gli adulti, hanno una parte attiva nel costruire il genere e le pratiche collettive -allinearsi in file o formare delle coppie, scegliere i posti a sedere in uno spazio, le prese in giro, i pettegolezzi, il cercare un accesso per fare o evitare particolari attività -animano tale processo. Un aspetto importante, all’interno di un discorso di formazione (quasi sempre ci si limita,parlando di bambini, alle nozioni di “socializzazione” e “sviluppo”), è dare maggiore attenzione ai bambini come attori sociali che vivono il presente, anche se influenzati da ampie forze sociali.
E’ necessario tenere conto di due aspetti:
I) i bambini costruiscono “le ragazze” e “i ragazzi” come gruppi confinanti e rivali attraverso pratiche che individuano l’appartenenza di genere come dicotomia oppositiva
2) ma allo stesso tempo adottano pratiche che in qualche modo neutralizzano o attraversano i significati e le differenze di genere, che sono altrettanto significative. In base a ciò criticabile è l’idea che ragazze e ragazzi abbiano essenzialmente culture diverse (come affermato da molta letteratura storica sul genere e sulle relazioni sociali dei bambini). L’Aikido può avere un ruolo in tale attraversamento dei confini di genere ?
Due le possibilità: -contribuire” ad approfondire e riconfermare immagini stereotipate di categorie e divisioni di genere,
-scegliere ed adottare una prospettiva diversa.
E’ importante tenere conto del fatto che il genere ha delle dimensioni analiticamente separabili: il genere individuale ha una forma dicotomica- ogni nuovo nato viene dichiarato un bambino o una bambina.
Il genere come struttura sociale, come simbolo, come cultura è qualcosa di più complesso: nel mondo sociale le divisioni non sono così semplici: ci sono molti modi di essere un ragazzo o una ragazza, alcuni sono coincidenti, alcuni variano a seconda del contesto in base alla differenza di razza,classe, età. Il genere quindi non è solo una categoria di identità individuale ma anche una dimensione delle relazioni e dell’ organizzazione sociale: ha quindi un peso nella creazione dei gruppi,degli incontri, del gioco e delle attività.
Dal momento che il genere varia nel grado e nei modi di rilevanza, da un contesto sociale all’altro, dalla famiglia alla scuola, dal cortile alla palestra, a livello di situazioni sociali ha una dimensione fluida e contestuale.
Implicazioni per il cambiamento sociale
In linea con quegli studiosi che hanno portato avanti l’idea di pratiche non sessiste o antisessiste di educazione, sembra condivisibile lo scopo a lungo termine di eliminare i compiti e le attività tipizzate per genere e di allocare le opportunità, le risorse, l’attenzione degli insegnanti senza considerare le categorie sociali dei ragazzi. Si dovrebbe tentare di provare ad aprire e non diminuire le opportunità per ragazzi e ragazze e per bambini di classe, razza, abilità fisiche differenti per farli conoscere l’un l’altro come individui e amici. Ci sono stati e ci sono insegnanti e ricercatori che hanno cercato di sviluppare pratiche in grado di sfidare la separazione e ineguaglianza sessuale, ma anche razziale o legata ad altri tipi di differenze, ad es. all’handicap.
1) Raggruppare gli allievi, o formare le coppie, usando criteri diversi dal genere (o dalla razza), ad esempio il sorteggio casuale.
I bambini quando vengono lasciati autonomi si è notato che tendono a separarsi in base al genere ( nelle scuole americane anche alla razza), Lasciare completamente liberi dall’intervento adulto non sempre da risultati positivi: se si lascia ad esempio che i bambini formino coppie da soli il risultato può essere un’estrema separazione di genere, di abilità, di capacità fisiche: importante quindi cercare di massimizzare consapevolmente l’eterogeneità.
foto prelevata dal sito AikidoRyu
Cosa fare?
Promuovere relazioni cooperative tra i generi non significa negare il valore delle relazioni dello stesso genere e soprattutto dell’autonomia che i bambini devono avere nello strutturare le loro attività. I bambini non crescono, non si esprimono se continuamente controllati e osservati e lotteranno per ottenere indipendenza dagli adulti. Cercare di guardare il mondo attraverso gli occhi dei bambini può aiutare gli adulti ad agire in modo più effettivo, temperando in parte i nostri impulsi di controllo. E’ questo un aspetto da approfondire nel caso dell’insegnamento di discipline come l’aikido.Compito dell’adulto è permettere la costruzione di relazioni basate sulla mutualità e il rispetto.Mi sembra una sfida interessante per una disciplina come l’aikido che si professa non competitiva e che si trova a condividere con le altre arti marziali forti stereotipi di genere legati ad esempio all’uso della forza fisica ecc. Come rispondere alle stesse domande poste dai genitori: ” è adatto per una ragazza per imparare a “difendersi?”, “mio figlio è aggressivo di natura, rischia di diventarlo ancora di più ?”
2) Tutte le volte che è possibile promuovere attività che favoriscano la cooperazione, studiando compiti di tipo collaborativo: gli psicologi sociali, studiando le dinamiche di relazione intergruppo, hanno rilevato che quando i ragazzi di diversi gruppi razziali e di genere interagiscono in piccoli gruppi focalizzati sulla condivisione di uno scopo (dimensione più facile da attuarsi in una palestra che non all’interno delle scuole), tendono più frequentemente a sviluppare relazioni amichevoli che non antagoniste.
3) Necessario intervenire attivamente per mettere in discussione la stereotipizzazione:coinvolgere i ragazzi in riflessioni critiche riguardo ad es. all’uso della forza, al problema dell’aggressività maschile.
Affermazioni sul valore della mescolanza di genere, razza, capacità possono avere bisogno di essere continue ed esplicite per dare luogo ad interazioni efficaci: è necessario un approccio processuale all’educazione non sessista.
Sabrina Giovane